Reception.
Mi trovavo nella reception del Hotel Primus nei
pressi di Stazione Ostiense, vicino la Piramide Cestia di Roma. Io ed il mio
amico ci trovavamo circondati da quattro carabinieri e due poliziotti,
gentilmente chiamati da uno dei due uomini del hotel. Il più giovane dei due,
dopo aver ricevuto in petto un barattolo portapenne di metallo tirato dal mio
amico, grazie ad un momento della nostra distrazione, era riuscito a
sgattaiolare fuori dall’entrata dell’albergo e a chiamare le forze dell’ordine.
La cosa che più mi sbalordiva era che le avesse chiamate entrambe. Doveva aver
pensato che la situazione ne richiedesse la presenza. Io stringevo nella mano
una busta piena di Ceres e nelle palle custodivo ciò che rimaneva dei 13 pezzi
di cocaina che portavamo in giro dopo essere rimasti fuori casa. Mentre i toni
della conversazione continuavano ad accendersi, ripensavo a come fossimo giunti
in questa gradevole situazione.
-
Ma sei sicuro che ‘n ce l’hai?
-
So sicuro sì, non le trovo! Le devo avè
lasciate dentro la machina mia che s’è preso Ciccio!
-
Che rottura de cojoni, cazzo! Ma te dovevi
mette pe’ forza a litigà co’ coso lì? Mò c’ha cacciati de casa e stamo alle sei
de’ mattina in giro co’a machina, senza na casa e co’ tredici pezzi addosso! E
per di più sto ‘mbriaco fracico!
-
Daje ‘nnamosene a dormì in albergo, che ce
frega tanto, i sordi n ce mancheno mica!
-
Sì, ho capito, ma già quanno sto da solo
quelli de’a reception so ostici, figurete in due co’ ste belle facce che
c’avemo mò!
La serata, seguita da una notte bellicosa,
proseguiva all’insegna di un mattino afflitto dal disagio più nero.
-
Daje ‘mboccamo al Hotel Monteverde, ch’è uno
dei più easy da espugnà!
-
Provamo a sto Hotel,sei te quello più
pratico.
Come volevasi dimostrare, una volta arrivati alla
reception, dopo aver chiamato per accertarsi che avessero una doppia libera,
fummo respinti nell’immediata visione della busta bianca gonfia di dieci Ceres.
-
Lo sapevo guarda te come va a finì! Vedi se
non dovemo ‘nboccà da me co’ mi madre e mi padre, sai che palle!
-
St’infamità de buciardi!
Dopo la prima scelta, la seconda cadde sul Hotel
delle Rose nei pressi di Stazione Trastevere. Albergo era senza dubbio più costoso,
ma durante quel periodo non è che il denaro fosse un problema per noi due. La
scena si ripetè identica alla precedente, con una scusa ogni volta diversa
venivamo accompagnati ancora all’uscita. Ripetuta la dinamica, anche la stessa
chiamata venne fatta di nuovo, un’altra camera venne promessa e un altro
stronzo alla reception ci avrebbe fatto il suo bel racconto su come si fosse
sbagliato, o su come la camera non fosse ancora pulita o libera, o su come
cazzo ne so io ci avrebbero sbolognato nuovamente. Ripresi l’auto a mio rischio
e pericolo e guidai verso la nuova destinazione. Giunti nella Hall con la
solita busta bianca e con le voci ancora più sguaiate dall’incazzatura fummo
travolti da un flusso continuo di studenti che lasciava definitivamente
l’albergo con tanto di professoresse vigili al seguito. Incontrammo il gentile
personale che ci pregò di attendere un momento nel salottino della Hall sui
divani. Non più sconvolti dall’ennesimo presagio di sventura, ci sedemmo e
stappammo altre due bottiglie. Sul divano di fronte al nostro, Emilio, il mio
amico, puntò una straniera di origini asiatiche che leggeva aspettando anche
lei non so cosa. Capito e assicuratosi che la ragazza parlasse inglese, mi
costrinse a turbarla, facendomi spiegare in lingua che noi fossimo due
spacciatori e malavitosi. Sinceramente, ero così stanco che preferii parlare
inglese, invece che discutere con i pugni in petto che il mio amico soleva
regalare quando ubriaco e molesto. Puntualmente la donna scappò in un niente.
Il tempo passava e noi eravamo ancora sul divano. Passati tre quarti d’ora e
spopolatasi la Hall, era giunto il nostro turno. Dietro il banco della
reception sedevano due uomini, uno più giovane dell’altro.
-
Ragazzi, purtroppo c’è un problema, C’è stato
un errore!
-
Ah, sì? Un altro errore? Un’altra volta? E’
il terzo albergo che sbaglia di seguito! Senta siamo stanchi, ci state
rimbalzando da una parte all’altra. Siamo ubriachi, è mattino presto, abbiamo
perso le chiavi di casa e vorremmo solamente un posto per dormire.
-
Come già vi ho spiegato, purtroppo la camera
non si è più liberata.
-
Senti ma che pensi che ‘n te pagamo? Eccheli
li sordi!
Emilio cacciò dalla tasca all’incirca settecento
euro in pezzi da cento e da cinquanta e glieli tirò sul bancone.
-
La prego signore non faccia così!
-
Non faccia così un cazzo! Ma che ce state a
pijà per culo tutti quanti davero? Hai detto che la camera c’era e mò ce la dai
sta camera der cazzo! T’arzo ‘na merda che manco te la immagini, ‘mbecille der
cazzo!
Emilio nel frattempo aveva superato la soglia della
sopportazione e della risata, non stava più ridendo e nemmeno io se era per
questo.
-
Senta è uscita una scolaresca intera che ha
lasciato lo hotel, e me vorrebbe dì che de tutte quelle camere sfitte non ce
n’è manco una libera? Le hanno già tutte occupate? Sete r cazzo de arbergo che
lavora mejo de Roma, ve? Me state a pijà per ‘r culo e mò me so rotto rcazzo
pure io!
Preso dall’ira, strappai la tastiera del computer da
sotto le mani del più vecchio dei due e la sbattei prima sul banco e poi sullo
schermo dell’apparecchio.
-
Ce devi da dare la camera, mortacci tua!
Emilio prese il barattolo delle penne e lo
scaraventò in petto all’altro. Di lì a poco arrivarono tre volanti. Io con fare
diplomatico, spinto anche dai pezzi restanti nascosti sulla mia persona,
illustrai nei minimi particolari tutta la nostra epopea. In cuor mio mi ero già
preparato all’ennesima giornata in caserma o commissariato. Non mi si era mai
presentato l’imbarazzo della scelta come quella volta. Alla fine della lunga
discussione, i carabinieri, dopo aver delegato ai poliziotti il compito, se ne
andarono. I ragazzi in blu, contro ogni pronostico, si batterono in nostro
favore. Apriti cielo! I due albergatori si videro costretti a darci la camera.
Godei. Godei come non mai. Saliti in camera durante un’allegra scazzottata che
mi lasciò non pochi segni, ci dedicammo alle Ceres e ciò che rimaneva dello
stupefacente. Emilio, preso il Messaggero in mano, studiò gli annunci che un
po’ tutti i cocainomani conoscono. Il telefono squillò. Risposi io. Dall’altra
parte uno degli albergatori spiegò che non poteva far salire la ragazza. Scesi
al pian terreno in mutande e calzini e descrissi la brasiliana come una nostra
amica stretta. Ma l’oriunda biondo ossigenato, non capendo una mazza di tutto
ciò che avevo detto, si presentò dandomi la mano. Le bugie hanno le gambe
corte. Alcune di loro addirittura cortissime. Arrivati in camera e dopo avergli
offerto ciò che avevamo da offrire, iniziò la contrattazione sulla prestazione
e sul prezzo. Giunti ad un’amichevole conclusione, l’oriunda spiegò che non
avrebbe fatto niente in tre ed io di rimando spiegai che solo di Emilio si
sarebbe dovuta occupare. Emilio ebbe la splendida idea di presentarci con i
nomi invertiti, ossia io ero Emilio e lui Simone. Volevo sdraiarmi per riposare
facendo finta di niente, non era la prima volta che mi trovavo di fronte
spettacoli del genere e non sarebbe stata neanche l’ultima. Ma lei forte della
fretta che aveva Emilio, e lo si poteva vedere ad occhio nudo quanta fretta
avesse, riuscì a farmi confinare nel bagno della stanza. Mi addormentai seduto
sulla tazza e con le gambe tirate su, poggiate sul lavabo. Non so quanto tempo
fosse passato, ma quando mi svegliai fui aggredito da voci urlanti che
richiamavano a scene di sesso selvaggio. Ancora rincoglionito dalle svariate
ore d’eccessi vari, non capii immediatamente che la finta bionda brasiliana,
con quel suo accento da viados di Copacabana, stava gemendo e gracidando il mio
nome invece di quello d’Emilio.
-
Simone, Simoneee! Aaaahhh, Simoneeehheee!!!
No, basta! Era veramente troppo, la goccia fece
traboccare il vaso. Di scatto saltai ritto in piedi sulle mie gambe, gambe che
durante le ore di sonno si erano completamente addormentate, formicolando
copiosamente. Raggiunta la posizione retta, le gambe cedettero ed io rischiai
di spaccarmi mento e denti sul lavandino di ceramica bianca. Finito lo
spavento, controllai che tutti i denti fossero al loro posto ed aprii la porta.
Chiavavano come mandrilli sul matrimoniale, li guardai e loro videro me.
-
Ahò,‘n me frega ‘n cazzo! Io me devo sdraià,
voi fate quello che cazzo volete! E Emì se caca ‘r cazzo daje de più! Io ar
cesso n ce torno mica!
Emilio sbottò in una grassa risata. Mi sdraiai
accanto ai due e chiusi gli occhi sdraiandomi su un fianco.
-
Ah e poi n’artra cosa! Dico a te! –
Riferendomi alla donna.
-
Famme ‘n piacere, te prego! Smettila de dì ‘r
nome mio! Sò io Simone e lui è Emilio! Te prego accanname!
La bionda guardò con fare interrogativo il mio amico
che annuì. Mi risvegliai di sera e lei già era andata via. Ci rivestimmo e
scendemmo le scale. Alla reception non c’erano più i tizi del mattino.
Risalimmo in auto e guidammo verso casa. Anche un’altra lunga notte era finita
ed io ero ancora vivo e libero per raccontarlo.
Joey Pooch