Le Chiavi di Mamma.
Rovistava tra i vestiti della madre nell’armadio, scomponeva
l’ordine delle cose facendo ben attenzione a come le spostava perché di lì a
poco avrebbe dovuto rimetterle tutte esattamente dov’erano. Mentre rovistava
furiosamente pensava alla madre, e a dove avrebbe potuto nascondere le chiavi
dell’automobile. Giorni prima era stato fermato dai Carabinieri in un
parcheggio abbandonato a ridosso del Raccordo Anulare. Gli arrivarono alle
spalle e lui non se ne accorse perché molto impegnato nella sua attività.
Incastrato il cucchiaio tra le fessure di una delle bocche per l’aria
condizionata, continuava ad accendere e spegnere un accendino che non lo
aiutava nella sua impresa. Non essendo un Bic l’accendino, ma bensì uno di
quelli venduti dai venditori ambulanti ai semafori, iniziava a squagliarsi per
il forte calore continuo scaturito dalla fiamma blu. Con una attaches muoveva
il liquido ribollente nel cucchiaio e separava la bolla oleosa generata dalla
cocaina. Nel mentre iniziava a soffiare per freddare il tutto in modo da poter
far solidificare e poi estrarre la cocaina divenuta crack. Nel posacenere due
sigarette fumavano copiosamente generando la cenere necessaria per fumare la
dura roccia gialla. Finito il processo, aveva posto la maggior parte del sasso
in una pipetta riempita insieme alla cenere e aveva acceso ancora l’accendino
che ormai supplicava pietà sudando gocce di plastica sciolta da sotto la placca
metallica. I polmoni tiravano e si riempivano di denso fumo bianco, le tempie
cominciavano a pulsare ed il cuore a battere. Stava soffiando via il fumo
quando con la coda dell’occhio avvertì qualcosa muoversi nello specchietto
retrovisore. Girò la testa e notò una Gazzella dei Carabinieri che con moto
lento si introduceva nel parcheggio. Di rimando buttò tutta la cocaina
rimanente nella pipa e tirò, tirò con forza, i suoi occhi si spalancarono, le
palpebre gli tiravano e scattavano sotto l’effetto del narcotico che aveva
scatenato un momentaneo “tic” nervoso. Fece finta di niente e buttò tutto sotto
il sedile del passeggero. Poggiò la testa al sedile e con fare irrigidito si
stiracchiò fingendo di starsi a riposare in macchina, come se avesse appena
finito di schiacciare un pisolino. Una sagoma scura si avvicinò alla macchina,
preceduta dal rumore d’uno sportello che apriva e chiudeva, una mano avvolta in
uno stretto guanto di pelle nera bussò al finestrino. Con un cenno della testa
lui, assecondato da un’espressione sbalordita, chiese all’agente cosa volesse e
lui di rimando con un gesto pregò l’altro di aprire la portiera e scendere dal
veicolo. Scese dall’automobile.
- - Che fa
parcheggiato qui?
- - Ma niente,
stavo riposando un pochino.
La voce uscì strozzata e tremolante. Il ragazzo cercò di
presentarsi come meglio potesse.
- - Scusi e
lei viene qua a riposare?
- - Perché che
c’è di male?
- - Qua le
domande le faccio io. Prego fornisca patente e libretto. E’ sua l’automobile?
- - Sì, è la
mia ma è intestata a mio padre.
Aperto il cruscotto presentò il libretto e poi la patente
estratta dal portafoglio. Il carabiniere portò i documenti al collega ancora in
auto pronto a fare gli accertamenti.
- Cosa stava
fumando?
- - Io?
Niente…
- - Senta ha della
droga con lei?
- - No.
La conversazione durò ancora per molto, proseguendo con la
perquisizione personale e del mezzo. Il carabiniere rinvenì un involucro di
plastica contenente un rimasuglio di polvere bianca, classificata come cocaina,
sotto uno dei sedili. Di conseguenza il tutore dell’ordine si vide costretto a
sospendere la patente del ragazzo e a compilare un foglio di possesso e
sequestro di sostanza stupefacente.
Era il fine settimana e i suoi genitori erano andati fuori Roma,
partendo insieme al fratello. La ricerca continuava, dando esito negativo.
Tutti i ripiani e i cassetti erano stati aperti e scandagliati, ma niente da
fare, la madre era riuscita a trovare un posto talmente segreto che nemmeno lui
fu in grado di scovare. Stava rimettendo ogni cosa al suo posto quando l’occhio
gli cadde su di una fessura che rimaneva tra il cassetto delle camicie del
padre ed il portacravatte. L’oggetto scintillava ed era di metallo, aveva
trovato un mazzo di chiavi. Erano sì chiavi e d’automobile, ma non erano le
chiavi della madre. Il fratello aveva da poco acquistato una Mini Cooper
presentando le buste paga del lavoro. Preso in mano il mazzo, fu aggredito da
un forte senso di colpa, non avrebbe mai voluto rubare quell’auto ma data la
particolare situazione, e dopo tutte le ore di ricerca, non fu in grado di
comportarsi correttamente. Scendeva le scale verso il garage e pensava alla
madre. In tutti i finesettimana che gli si presentarono nei mesi successivi non
fu mai in grado di trovare quel mazzo tanto agognato, ma in ogni caso a parte
quella volta non fu più capace di tradire la fiducia del fratello.
Joey
Pooch
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