- ‘O
sai che m’hai popo rotto ‘r cazzo! -
- De
che? -
- De
tutte ste telefonate, de tutti sti conti, de sti sordi, de tutti l’impicci che
fai e dello stronzo che sei! -
- ‘N
te ce mette pure te mò però! -
- Hai
rotto r cazzo! ‘N gliela faccio più a vedette così, stai sempre imparanoiato,
fai solo conti e parli solo de sordi, basta cazzo! -
- Ma che devo fa, me mancano dei soldi, ho fatto
quarche cazzata, mò se rimedia, damme r tempo, però… -
- Me pare d’esse tornata a quanno te cercava quer
mezzo zingaro cattivo -
- Hahaha, te ricordi che tajo! -
- Ma che tajo, n se sa che ansia, no che tajo! -
- Che telefonava a casa e non sapeva che c’ho n
fratello, je rispondeva lui e se credeva che ero io che lo cojonavo… hahahaha!
Poraccio mio fratello n se sa le minaccie che je diceva… -
- Hahhaha… E’ vero me l’ero scordata sta cosa! Uahuhauhuaua!
-
- Comunque non so più che fa, questi me stanno pure
a venì a cercà sotto casa, mi madre m’ha detto che m’è venuto a cercà qualcuno
e che sto quarcuno non j’è piaciuto pe niente ar citofono, non j’ha manco
voluto dì r nome, dice n’amico, ‘cci loro! Pezzi demmerda, pe n ritardo de n
poco più de mille euro! Co tutti li sordi che j’ho sempre portato, bastardi! -
- Lo sai come so fatti quelli, finchè ungi bene, poi
come stai n’attimo a secco, boom! Come niente te li ritrovi sotto casa! –
- ‘R problema è che non me stanno più a fa lavorà
come prima… -
- E ce credo, pe come te stai a comportà, ringrazia
Dio che ancora cammini co le gambe tue…-
- Esagerata! Mò pe n periodo che gira n po’ così… -
- Non è ‘r periodo, sei te che sei n po’ così… “sto
periodo”! –
- Pure te c’hai ragione, quanno inizio a fumà, me
vorei mette le manette e legame ar termosifone, cazzo! –
- Vai fori de testa, non te se po’ più guarda! –
- Me sà che dice bene Marco, l’artra vorta m’ha
detto che come l’ho fatti inizià a fumà tutti io, j’ho fatto pure passà ‘a voja
a tutti quanti! – Sì, me sa che r quadro lo riassume alla perfezione, vedi che
se pure Marco te sta a dì ‘na cosa der genere, me sa che allora stai messo
peggio de quello che fai vede… -
- Ma che stai a dì, lo sai che pe te so cristallino…
-
- Sì, giusto cristallino… -
- Ma che scherzi! –
- Scherzo, scherzo, comunque ‘n va bene così… -
- Lo so, lo so che ‘n va pe niente bene, non me lo
dì a me… -
- No, ‘nvece lo dico proprio a te! –
Passavano i giorni e la situazione non faceva che
precipitare, i pensieri lo gravavano parecchio ed ogni sera per evadere da un
peso che lo accompagnava costantemente durante il giorno, tornava a commettere
sempre lo stesso errore. Ogni sera cucchiaio, bicarbonato e si ripartiva sempre
da capo, la sostanza friggeva nuda bagnata sulla superficie d’acciaio cromato del
cucchiaio che sotto il fuoco della fiamma non poteva far altro che annerirsi.
La macchia di nero sui cucchiai di casa era un qualcosa di indelebile, il solo
guardarla lo faceva sentire proprio come quel cucchiaio, nero sporco e
macchiato con un qualcosa di indelebile, un sapore indimenticabile in bocca che
ti accompagna per tutta la vita. Delle volte durante la giornata gli saliva da
dentro uno schiocco di tosse che gli faceva tornare in bocca quel sapore di
plastica dolciastra che ti lascia la cocaina sulla lingua e sui denti, denti
che pian piano risentono delle sostanze chimiche di cui è bagnata e tagliata la
polvere bianca sudamericana, denti che si piegano e poi spezzano sotto il costante
effetto della densa nuvola malsana che soffi fuori.
Claudia era sempre più stanca e sottoposta ad un
continuo forcing mentale e fisico, lui la faceva preoccupare e lei lentamente
iniziava a non vedere più un’uscita possibile. Le continue scuse, i continui
ritardi i continui rinvii d’impegno la facevano soffrire, ed iniziava a
risentire molto di quel logoramento interiore. Tante volte la sera cercava di
dissuaderlo da quella catena di montaggio che metteva su ogni qual volta si
poteva un momento sedere su una sedia in una camera con la porta chiusa. Gli
atteggiamenti di lui, durante la fase di cottura e soprattutto postumi a quella,
iniziavano a diventare seriamente preoccupanti, era in costante frenesia, non
riusciva e tenere gambe e mani immobili tremavano vistosamente, anche le sue
capacità verbali risentivano parecchio dell’effetto della sostanza, quasi
era costretto a smettere di parlare
tanto gli tremava la voce, senza poi elencare le innumerevoli volte in cui si
convinceva che ci fosse qualcun altro dentro casa o addirittura dietro la porta
che origliava, guardava fuori dalla finestra per paura che la polizia potesse
arrivare in qualsiasi momento, si accasciava a cercare per terra pezzi di
cocaina cotta persa durante il corso della notte anche se di cocaina non ne
fosse mai caduta una singola briciola. Il tutto iniziava ad essere seriamente
preoccupante ed imbarazzante in altre situazioni, la discesa imboccata era
scoscesa e ripida ed era difficilmente possibile invertire la direzione di
marcia.
Lui di tutto ciò, si rendeva conto solamente appena
l’effetto della giostra mortale scendeva, appena finito il giro si guardava
allo specchio e si chiedeva cosa mai stesse succedendo e perché mai non la
smettesse, ma ogni sera si andava a cercare un nuovo compagno di giochi e la
partita aveva di nuovo inizio. Molte delle volte si accollava anche personaggi
che non gli erano assolutamente congeniali e li incastrava offrendo loro serate
ai limiti del possibile che con le loro semplici finanze non si sarebbero mai
potuti permettere. Poi ad un tratto quando le rocce rimaste iniziavano a
scarseggiare, percepiva un reale distacco da chi in quel momento si trovava con
lui e pensava perché mai? Perché mai? Il rimorso era forte in quegli istanti,
il rimorso per le sue azioni, il rimorso per come la sua faccia gli appariva di
fronte allo specchio, ma col tempo invece che decidere di smettere di
continuare, aveva iniziato ad ignorare quel rimorso che lo faceva stare così
male, durante quello star già male per la fine della sostanza non era buono
starsi anche a commiserare per come ci si era ridotti.
Le dinamiche di ragionamento venivano sempre più
spesso intaccate, smussate e poi stravolte, ormai il male di cui viveva era
tale che per lui esisteva e basta ed era impensabile credere che quel male
sarebbe dovuto cessare per una propria scelta.
Quella sera dopo essere uscito da casa di Claudia,
come al solito era sceso verso Trastevere, S.Calisto, Vicolo del Bologna,
Vicolo del Cinque e Piazza della Scala, il tour delle viette e vicoli si
svolgeva come del resto quasi tutte le sere.
Durante questo periodo il solo anche girare per
Trastevere ad ogni modo non lo faceva stare un gran che bene, lo stavano
cercando e bastava solo questo pensiero per non farlo stare tranquillo,
sapevano tutti quanti dove potessero trovarlo e di certo se non si fosse
sbrigato a sistemare le cose prima o poi avrebbe fatto l’incontro che tanto non
voleva fare. Quella sera non incontrò nessuno in particolare ma non aveva
voglia di rientrare a casa a fumare così rimase in giro da solo a bere saltando da un bar ad un altro. Si erano
fatte quasi le tre di notte ed il S.Calisto era chiuso da un pezzo, era tornato
verso la macchina che era parcheggiata in piazza perché anche “Il Bruschettaro”
ultimo baluardo trasteverino stava per chiudere. Pippava le ultime botte di
cocaina che gli erano rimaste stando seduto in macchina con un po’ di musica
accesa, mentre se ne stava lì seduto in disparte passarono studentesse
americane che avevano preso un appartamento in affitto da quelle parti proprio
vicino la Lungara,
trovandosi non molto distante dall’università americana. Non si accorsero
sedendosi sul cofano della sua auto che lui stava piegato all’interno e quando
si rialzò i loro sguardi si incrociarono, le ragazze ubriache attaccarono
subito bottone e avvistando immediatamente le strisce bianche che risaltavano
sul nero lucente del libretto delle istruzioni della macchina, non ci misero
tanto a chiedere se avesse potuto fargli assaggiare quello che anche lui stava
gradendo. Una dopo l’altra si piegarono sul sedile avvicinando la banconota
arrotolata alla narice. Nello stesso istante in cui si svolgeva tutto ciò stava
passando di là un altro ragazzo sulla trentina che notò subito il movimento e
venne a chiedere se si poteva offrire qualcosa anche a lui. Lui gli spiegò
immediatamente che purtroppo sarebbe dovuto arrivare un frazione di secondo
prima per essere in tempo e che quindi sfortunatamente per lui non si poteva
fare più niente.
La cocaina mischiata all’alchool lo faceva parlare
molto e gli dava grande sicurezza, in quei momenti infatti diventava socievole
anche con chi non lo sarebbe mai stato in altra situazione.
Il ragazzo chiese se lui sapesse per caso dove
rimediare qualcos’altro, ma per un motivo o per un altro quella sera non gli
riuscì di inventarsi niente di nuovo, l’altro così azzardò l’ipotesi di
arrivare a Tor Bella Monaca visto che avevano l’auto, senza neanche ragionare
per un secondo acconsentì immediatamente, liquidò le americane per cui secondo
lui già avevano scroccato abbastanza per la serata ed in men che non si dica
era in macchina con il primo sconosciuto raccattato per strada diretto chissà
dove e chissà da chi a Tor Bella Monaca.
La macchina prendeva il raccordo, l’asfalto
scivolava sotto i copertoni caldi della Golf, la strada era vuota e le prime
luci dell’alba sembravano apparire dietro il disegno frastagliato degli alberi
e colli all’orizzonte. L’altro indicava con cura l’uscita e le svolte da
prendere e con il tempo che la sua lucidità raccattata al momento gli concesse
riuscirono ad arrivare in borgata. Parcheggiavano l’automobile sotto il
palazzone che gli si affacciava davanti, il bottone dell’antifurto una volta
premuto fece fischiare l’auto accompagnando con la luce rossa sparata dagli
stop le loro ombre che silenziose e furtive sembravano arrampicarsi sulla
facciata di quella costruzione grigia e buia.
-
Te
lo dico fa parlà a me che sta tipa e na zingara mezza ‘mpazzita! Sta mezza de
fori dalle paranoie, comunque mò vedrai te
in che casa te sto a portà quindi me raccomando… -
-
Vabbè
ok, ho capito ma manco m’hai detto come dovemo fa coi soldi, quanto vole
questa? Te poi mica t’ho capito, ma ce l’hai qualche soldo? –
-
Ma
io sto co ‘na decina de euri, ma comunque a me me conosce poi se te c’hai n po’
da spenne magari a me ce pensa lei… -
-
Se,
se ho capito va… -
-
Ma
che stai a scherzà? Guarda che a me po esse che mica me devi offrì niente, poi
comunque dai che alla fine la dritta è mia, sennò rimanevi a piedi, no? –
-
Se,
se giusto a piedi, daje salimo da questa và, vedemo de dasse ‘na mossa… -
Con il viaggio in auto gli era tornata un po’ di
lucidità, quel poco che bastava per fargli pensare a la cazzata che stava
facendo, ma d’altro canto ormai era arrivato sin qui e adesso non poteva di
certo tornare in dietro a mani vuote.
Salirono queste scale anguste, zozze, su ogni
gradino c’era almeno un dito di lerciume, misto a carte di caramelle e
pacchetti di sigarette vuoti. Si fermarono di fronte ad una porta
d’appartamento, la particolarità era che prima della porta, ossia
nell’immediato spazio che la precedeva, era stato montato un cancellone in
acciaio battuto con un spioncino, simile a quelli della farmacia notturna. I
due bussarono ed aspettarono. Non si sentiva niente che venisse dall’interno
della casa.
-
Ma
che m’hai fatto venì fino qua e mò questa magari sta a dormì? –
-
Ma
de che questa non dorme mai, aspè… -
-
E
aspettamo… -
Ribussarono. Ribussarono ancora. Niente. Dall’appartamento
non veniva fuori nessuno, e non si sentiva nient’altro che il vento che
soffiava tra gli alberi fuori dal palazzo.
-
Senti,
‘namosene và, ch’è mejo! –
-
Aspè,
aspè… -
-
Daje,
basta accanna co sta cosa che qua magari ce se stranisce pure quarcuno, mica
no… -
-
Te
dico ‘spè, daje bono n’attimo… -
Si era stancato, ed iniziava a pensare che forse
fosse anche meglio così, stava per rimboccare la tromba delle scale, quando un
mugugno arrivò alle loro orecchie attente da dietro, l’acciaio e la porta.
-
Sò
io, ahò sò io!- Il ragazzo bisbigliò poggiandosi con le braccia tra le fessure
del cancello.
La porta finalmente si aprì. Un fiotto di aria calda
investì i due che stavano ancora in piedi su quel pianerottolo freddo e buio.
La luce inondò il pavimento sotto i loro piedi e nel mentre disegnò una sagoma
nera sulla parete opposta a quella dell’ingresso che gli si era offerto, la
sagoma era di una donna dall’età indefinita.
La signora, per così dire, era magrissima, le sue
guancie erano completamente scomparse sotto l’influsso del tempo passato a
succhiare penne a sfera, i capelli grigi e bianchi scendeva sul suo collo secco
e rugoso, i tendini del collo erano ben visibili, perché di tanto in tanto si
tendevano quasi allo spasmo, sembrava quasi si potessero spezzare da un momento
all’altro. In dosso portava una di quelle vesti da signora anziana e casalinga,
tanto che sopra ci aveva abbinato un grembiule da cucina allacciato in vita. Ai
piedi portava delle ciabatte del mercato, di quelle con lo strappo sopra, come
portavano i bambini negli anni ’80 e ’90. Sembrava effettivamente uscita da una
frattura del continuum spaziotemporale, era molto stile Amore Tossico di
Caligari, tanto per fare un esempio.
Il ragazzo confabulò qualcosa con la padrona di
casa, poi si girò verso l’altro e tese la mano in segno di pagamento, l’altro
con un cenno della testa e una lanciata di sguardo fece a capire se andava
tutto bene e l’altro abbassò il capo in segno d’affermazione. I soldi passavano
adesso di mano in mano fino a che non si infilarono nello spioncino e vennero
scambiati con delle pallettine di plastica bianca.
Conclusa la transazione, scendevano le scale e
tornavano in macchina.
-
Hai
visto che era tutto ok? –
-
Tutto
ok, tuto ok… - Ripetè l’altro in modo sarcastico.
-
Che
c’è che non va? –
-
Niente,
niente stavo a giocà, ‘nnamò ‘n macchina così sbragamo sta cosa e se ne potemo
‘nnà tuti a casa, daje n po’… -
-
Ma
che vai de fretta mò? Famme capì… -
-
Più
che altro è quasi giorno, vivo dall’altra parte de Roma e ancora stamo co sta
cosa n mano che demo ancora solo inizià de scartalla, sai se se arzano i miei
quelli chiamano e non me va de stalli a sentì pure oggi, speravo che facevamo
prima, ma vabbè comunque lascia sta che tanto non sò cazzi tua… -
-
Daje
che ce pensi dopo ai tuoi, mò assaggiamose sta cosa và ch’è ‘na cifra bona, mò
vedi… -
-
Se,
se… -
Montati in macchina i preparativi iniziarono nuovamente
come sempre, schede alla mano, banconote nell’altra e via.
Pippavano e chiacchieravano, chiacchieravano e pippavano
e all’incirca in un’oretta la condensa, che si era formata sui finestrini della
vettura che li confortava, aveva fatto sì che i loro volti diventassero
invisibili per le prime finestre che si iniziavano ad accendere là intorno e
per i primi passanti che si piegavano all’aria gelida delle prime luci
dell’alba. Finita la storia, i due si guardarono e senza neanche farlo a posta
avevano già deciso di spostare di nuovo la macchina per tornare nuovamente
sotto casa alla gentile presenza che li aveva accolti prima con tanto amore.
Salirono di corsa ancora quelle scalaccie e si trovarono ancora di fronte lo
spioncino, bussarono e questa volta la misteriosa e silenziosa presenza non
tardò ad aprire addirittura invitandoli all’interno.
All’interno la situazione era non meno grottesca di
come potesse apparire da fuori, l’appartamento era una sorta di monolocale con
angolo cottura e lettone matrimoniale in mezzo alla stanza, in un angoletto
dello stanzone era sistemato un tavolinetto decrepito, tra i più rimediati mai
visti prima, talmente era storto che solo con la scoliosi avresti potuto finire
un pasto seduto lì senza troppi dolori. Le pareti erano adorne di una carta da
parati risalente grosso modo al paleolitico inferiore, sembrava di intravederci
anche delle forme di graffitismo preistorico, figure ed immagini di caccia si
accavallavano nella mente di lui mentre viveva quella situazione nata come per
incanto da un incontro più che casuale. Sopra il letto a due piazze mille
pallette di plastica buttate alla rinfusa ricoprivano buona parte della
superficie del piumone da letto, inutile dire che la signora sul comodino aveva
inoltre pronta una bottiglietta d’acqua appena modificata pronta a sostituire
quella vecchia che gli stava accanto, era talmente nuova quella bottiglietta
che quasi stonava con tutto il resto dell’appartamento, soprattutto con la padrona.
Alla domanda del padrone di casa su quanto volessero i due risposero comprando
altre due saccocciate, identiche per forma e peso alle precedenti, che consumarono
fumandole insieme alla padrona di casa in men che non si dica.
Dopo circa tre quarti d’ora erano di nuovo pronti
con le giacche adosso per scendere le scale e risalire in macchina scendendo in
un silenzio quasi clericale.
-
Senti,
ma te ‘n do abiti? ‘N do voi che te lascio? –
-
Ma
a me credo che vada bene se me accanni al MacDonald sur raccordo… C’hai
presente quello che sta verso l’Ardeatina? –
-
Sì,
certo che ce l’ho presente, dico ma sei sicuro che voj che te accanno proprio
là? –
-
Sì,
perché che c’è de strano? –
-
Boh,
che ne so me pare n posto n po’ der cazzo, no? –
-
No,
no che me faccio venì a prende da qualcuno… -
-
Vabbè,
se pe te va bene… Fa come te pare, io ‘n do me dici te lascio, anzi ch’è pure
de strada, da paura! –
La strada fatta all’andata veniva ripercorsa
minuziosamente al ritorno. Il viaggio fu accompagnato dalla radio che parlava
senza che nessuno l’ascoltasse e da loro che non spiccicarono verbo sino al
momento dei saluti. Come l’aveva raccattato, adesso lo faceva scendere da
l’auto. Per una sera era come se fossero stati migliori amici da lunghi anni,
in realtà nè a uno, né all’altro poteva fregare di meno del compagno. Durante
tutto il corso della nottata non si erano mai chiamati neanche per nome, non
aveva assolutamente importanza per entrambi. La macchina si riimmetteva nella
corsia e proseguiva verso Roma sud-ovest. La figura di quel losco personaggio
diventava sempre più piccola riflessa nello specchietto retrovisore che buttava
uno sguardo alle sue spalle. Tornava verso casa, ma non voleva tornarci in
realtà, era venerdì ed erano tutti svegli ed alzati impegnati nelle loro
faccende di casa, lui invece faceva schifo, era impresentabile. Si accostò in
un parcheggio nelle vicinanze di casa sua sbragò il sedile e chiuse gli occhi,
quando li riaprì era di nuovo sera e faceva freddo da morire. Il cellulare
senza suoneria aveva squillato tutto il giorno senza risposta. Scosse la testa
in segno di negazione guardandosi nello specchietto retrovisore del parabrezza,
si guardava e si chiedeva come mai, poi capì che forse era meglio non chiedere
troppo, riaccese il motore, sgasò e questa volta diresse verso casa veramente.
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