É Tutto a Posto.
Capitolo Cinque.
Cerchioni in Lega.
Soffiava, soffiava a più non posso il vento che si
abbatteva sul portone del palazzo. La notte era calata, gelida, fredda,
portatrice di idee nefande e di conseguenze non più tragiche di quelle già
passate. La notte lo portava a fare a cose che neppure lui stesso ben capiva,
era coma se fosse stregato. Nel momento in cui il sole smetteva di splendere
alto nel cielo, i suoi pensieri, e le sue buone idee venivano nascoste dal
buio, un buio sempre più presente, più costante, più denso, un buio che faceva
impallidire anche la più forte delle luci.
Il portone s’aprì e la sua figura infreddolita s’affacciò
sulla strada. L’aria gelida lo fece irrigidire. Veloce si spinse verso la
macchina, sentiva freddo. Entrò dentro la vettura, accese il motore e mentre
aspettava che si scaldasse, cercava il cellulare nelle sue tasche piene di
roba.
Lo schermo del telefono segnava molte chiamate senza
risposta, nell’elenco c’erano tanti numeri che risultavano sconosciuti e oltre
a quelli c’erano tutti gli altri che conosceva.
Odiava vedere tutte quelle chiamate senza risposta,
non lo facevano stare tranquillo, erano la testimonianza del fatto che prima
non avesse voluto e potuto rispondere, testimoniavano una sua grande debolezza.
Lo avevano cercato le persone che avrebbe dovuto vedere,
sapeva che aveva promesso che sarebbe passato nel pomeriggio a sistemare, ma
non lo aveva fatto.
Non aveva chiamato nessuno e non aveva avvertito
nessun’altro, questo faceva sembrare la cosa come se si stesse nascondendo. Non
aveva voglia di raccontare la storia del lancio, sembrava il solito racconto
del cane che mangia il quaderno con i compiti. Aveva preferito tardare, e nel
mentre aveva rimediato un po’ di soldi per presentarsi l’indomani non a mani
vuote, non amava raccontare storie strane, perché quelle venivano prese
immediatamente per menzogne, ma comunque anche sparire non è che fosse la
migliore delle scelte.
La sua forse non era nemmeno una scelta vera e
propria, le sue azioni erano dettate dall’ebbrezza, non venivano ponderate più
di tanto, semplicemente preferiva scordarsi a suo piacimento delle
preoccupazioni che lo affliggevano almeno finchè non fosse tornato lucido.
Lo faceva innervosire questa cosa ma non poteva
farci niente, così funzionava e così avrebbe funzionato per molto altro tempo
ancora. La sua testa era gravida di brutti pensieri e tremende preoccupazioni.
Buffi, buffi, buffi e ancora buffi era stato sempre così, ma prima era
differente non spendeva tutto quel denaro per niente.
Nella sua testa si accavallavano sempre più pensieri
gravi, il suo sguardo era ricolmo di un vuoto allucinato sempre più potente, più
costante, non vedeva e non credeva più in un futuro in quei momenti. Pessimismo
esistenziale. Il momento peggiore della giornata era quando tornava a casa e
stravolto cercava di mettersi a dormire, ma non gli riusciva bene per il
semplice fatto che nella sua testa si iniziavano ad accavallare numeri, cifre,
conti che venivano ripetuti all’infinito fino al momento in cui crollava sotto
il peso di una matematica che lo schiacciava e lo faceva dormire male, malissimo. Aveva sempre
amato poco la matematica, infatti come sosteneva anche suo padre di se stesso, loro
erano uomini di lettere. In realtà anche questa era una delle battute del suo
repertorio più scadente, quello farfugliante, quello sbiascicante, quello che
con l’italiano e le lettere in realtà ha veramente poco a che fare!
Era vittima del suo stesso gioco, vittima di una non
vita che lo torturava e che torturava tutte le persone che ancora gli volevano
bene. Il punto era che sapeva perfettamente che cosa stava rischiando, ma allo stesso
tempo era proprio quel rischio che amava tanto, una delle cose che lo faceva sentire
vivo. Non passava attimo in cui non avvertisse tutto il male che produceva, il
male che lo portava a fare tutto ciò che c’è di più sbagliato per un uomo.
Il rumore dei san pietrini bagnati per le vie del
centro nei suoi momenti di solitudine e riflessione gli infondevano un senso di
paura, legava quel rumore a tutte quelle notti in cui vagava per la città solo
in macchina, solo con i suoi timori, pensieri, solo di fronte ad un destino che
disegnava lui stesso con le sue mani. Il vizio, il piacere effimero, il piacere
sintetico, tutto quello per cui viveva era questo, ogni suo guadagno ed ogni
sua mossa ed azione era condizionata dalla ricerca di un qualcosa che
evidentemente non serviva a niente.
La luce gialla dei lampioni lo accompagnava nel suo
viaggio, la città di notte lo affascinava, lo stregava, gli faceva compagnia,
il silenzio gli parlava all’orecchio, il rumore delle fronde degli alberi al
Gianicolo piegati dal vento, lo scricchiolio dei passi delle poche ed ultime
coppiette temerarie sotto la pioggia, anche se la luna non si affacciava dietro
le nuvole lui ne poteva sentire l’influsso, come la marea anch’egli la pensava,
la pensava come una compagna sempre lassù immobile ad osservarlo, splendete
della sua pallida luce.
Pioveva e pioveva sempre più fitto e forte, i
tergicristalli al massimo della velocità sembravano non servire a niente, era
inutile il loro dimenarsi frenetico, si era concesso di fumare ancora qualche
roccetta, di fumare una roccia ad ogni semaforo cui si fermava e fumare ad ogni
semaforo lo metteva a dura prova, ogni tiro era un’ansia, una paura in più che
gli si avvinghiava al cervello e alla testa. Pullulava il suo cranio di terrore
e rimorso, ma ciò non serviva a fermarlo, anzi lo faceva continuare. La spirale
lo faceva vorticare così velocemente che diveniva sempre più estrema e lui di
quel girare e roteare amava ed odiava allo stesso tempo sempre di più ogni
piccolo istante.
Le luci attraverso i finestrini sbiadivano sempre
più, confondendosi in arabeschi disegnati dalla luce gialla tutt’intorno, offuscato
era tutto quello che lo circondava, come quello che lo riempiva. Inalava e
pippava ketamina ed ancora eroina, negli intervalli in cui non fumava dalla
pipa.
Non si era reso conto che con la macchina si era
praticamente fermato in mezzo alla strada, e le macchine che erano dietro di lui
suonavano il clacson con sempre più insistenza. Dal semaforo dopo l’ultima
sosta non era più partito. La sua testa ciondolava, quasi poggiata sul volante
per quanto stava inclinata davanti. D’un tratto s’aprì lo sportello, uno degli
automobilisti dietro di lui si era deciso a scendere e di prendersi tutta l’acqua
che cadeva pur di dirgliene quattro. L’uomo che aprì la portiera lo osservò, in primis pensò che si era sentito
forse male, poi lo vide stringere ancora
in mano la pipa incandescente e fumante, l’espressione dalla preoccupazione
cambiò immediatamente in minaccia e violentemente lo afferrò per la felpa e cercò
di tirarlo fuori dall’auto. Appena in contatto il suo viso con l’acqua gelida
piovana, spalancò gli occhi e per un secondo forse tornò in se od in ogni caso
avvertì il pericolo, aggrottò le sopracciglia, girò la testa verso il nemico e senza
pensarci due volte sbattè la pipa bollente in faccia all’avversario. Lo prese
in un occhio, ed egli urlò in preda al dolore arretrando, tre passi indietro,
passi che lo allontanarono dalla macchina, passi che offrirono la possibilità
di fuga. Il ragazzo inserì la prima e partì di corsa. Lo slancio della
ripartita fece richiudere lo sportello con un tonfo, la macchina slittò sul
bagnato strusciando e andando a sbattere contro tre motorini parcheggiati sul
bordo della strada che caddero tutti insieme. Strike! Immediatamente la vettura
saliva la ripida salita e girò la curva perdendosi come un fantasma nella
notte.
Ancora non focalizzava bene il fatto appena accaduto
ma rideva, rideva a più non posso si stava divertendo troppo. Quel tizio era un
omone veramente grosso, calvo e con una folta barba nera, se era incazzato
prima per essere sceso ed essersi bagnato, ora doveva essere veramente
furibondo, ma questo a lui non interessava perché era riuscito a scappare ed
era già molto lontano. Poi accecato e con tutta quell’acqua che veniva giù era
impossibile che avesse potuto prendere la targa, in poche parole era salvo.
Ad un tratto il suo telefono iniziò a squillare, chi
poteva essere a quell’ora? Non riusciva a ragionare e non voleva sapere chi
fosse così neanche tirò fuori dalla tasca il cellulare, alzò il volume del suo
stereo e spinse l’acceleratore correndo a più non posso. Poi tornando a
riflettere per un momento si ricordò di Marco e prese il cellulare in mano, non
era Marco, era Sadok il suo amico tunisino, amico e compagno di mille
disavventure, che lo stava cercando. Marco invece era sparito, non aveva più
sue notizie, il telefono era spento ma non era grave, doveva aver trovato
qualcos’altro da fare o magari semplicemente si era rotto di stare in giro con
quel tempaccio e se ne era tornato a casa. Riformulò così il numero di Sadok e
lo chiamò, anche il suo amico aveva lasciato la propria ragazza a casa, ed
essendo ubriaco non voleva andare a dormire, stava in giro con il furgone del
lavoro come tutte le notti non avendo fissa dimora in quel periodo della sua
vita, come di norma non aveva riportato il furgone in magazzino e passava da un
bar all’altro guidandolo per le strade della città senza metà.
Si parlarono e si diedero un appuntamento al
Gianicolo, uno dei loro ritrovi notturni preferiti. Il “Gianicolo”, per chi non
ne fosse al corrente, è un punto abbastanza alto della città di Roma che
sovrasta Trastevere, con la più bella vista che si può avere della capitale. Proprio
lì c’era e c’è ancora un chiosco aperto anche di notte, perché gestito da dei
Bengalesi che dormono all’interno dello stabile senza mai lasciarlo incustodito
e che i due amici puntualmente andavano a svegliare per soddisfare il loro grande
bisogno di sete. In effetti pensandoci bene era solamente per loro che era aperto tutta la
notte, un altro qualunque dei passanti avrebbe considerato il chiosco chiuso,
dato che era tutto spento. Non credo proprio che i bengalesi avessero mai gradito
la loro compagnia durante la notte.
Sadok beveva molto ma non si drogava parecchio, il
suo tempo l’aveva fatto, quando anni prima andavano a ballare insieme ai rave
illegali, erano gli anni dei trip, LSD, speed e pasticche, gli anni delle
droghe sintetiche.
Si incontrarono, si abbracciarono e ridevano
raccontandosi le rispettive giornate. Sadok lo conosceva bene, meglio di altri e
ancora si stupiva nel veder l’amico drogarsi in quel modo. Era una macchina
insaziabile, non smetteva mai e non dava segni di voler smettere, ma in tutto
ciò la sua mente a parte nei momenti più estremi sapeva rimanere lucida, ed era
capace ancora di formulare pensieri profondi e secondo lui intelligenti. Bevute
le loro rispettive tre Ceres a testa erano decisi di andare a fare un giro. Un
“giro” dei loro comportava un qualche divertimento di genere illegale
improvvisato sul momento. A Sadok quella notte servivano dei cerchi in lega per
la propria auto, aveva deciso così e così partirono alla ricerca, e a scapito
di qualche povero ignaro li avrebbero rimediati.
Preso il furgone di Sadok, suo per così dire, e
lasciata la Golf
si allontanavano dal Gianicolo e partivano per una ricerca che vedeva
protagonista il quartiere di Monteverde Vecchio e Nuovo. Conoscevano bene
quelle vie e vicoli, era lì che erano cresciuti e in quelle strade si sentivano
più sicuri, così che potessero agire con tranquillità. Per prima cosa servivano
almeno due crick, che non dovevano essere loro, perché nel caso fossero dovuti
scappare potevano abbandonarli senza perdere niente di loro proprietà. Quindi
con delle pietre o con delle semplici pedate scoppiavano i finestrini laterali di
vecchie auto che non avevano antifurto, i laterali ovviamente perché il
parabrezza era in vetro resina e di conseguenza non scoppiava, eliminato il
finestrino aprivano il cofano e portavano via i crick, elementi necessari per
proseguire il lavoro.
La prima parte del piano, la più veloce e meno
difficile era riuscita perfettamente, non c’erano stati problemi. Avevano
quello che gli serviva per il momento, ora c’era da fare il resto.
Giravano, giravano e giravano ancora, lentamente al
buio e sotto una leggera pioggia. La pioggia era propizia per il semplice fatto
che c’era meno gente in giro, poi a quell’ora non c’era proprio nessuno. Finalmente
l’avevano vista, la macchina che stavano cercando era proprio davanti a loro,
una 600 Fiat di quelle nuove! Ora come volevasi dimostrare il tasso alcolico
doveva essere molto elevato, perché chiunque a questo punto si sarebbe chiesto
perché rischiare la galera per andare a rubare dei cerchioni in lega da mettere
su un’orrenda Fiat 600 azzurro metallizzato? La risposta è difficile da trovare
ma diciamo pure che se mai doveste andare a farlo anche voi, vi assicuro che con
loro vi sareste divertiti tanto.
Come due ombre scivolavano giù dal furgone e si
avvicinavano alla preda. Mentre il primo svitava i bulloni, l’altro iniziava a
posizionare i crick in modo che al momento giusto avrebbero potuto alzare la
macchina e sfilare le ruote tanto agogniate. Ne avevano già tolte due, ora
erano passati alla terza, quando ad un tratto dietro di loro si aprì il portone
del palazzo. Sadok iniziò a ridere mentre correva con le ruote in braccio perchè
l’altro nel frattempo non si era accorto di niente. Quando l’altro tirò su la
testa vide Sadok dall’altra parte della strada che si sbrigava a caricare le
ruote sul furgone, mentre sul suo lato del marciapiede c’era un signore anziano
che ancora non aveva afferrato cosa stava succedendo. Osservava la macchina poggiata
su tre crick. Solamente un altro istante e il lavoro sarebbe stato portato a
termine perfettamente, invece furono costretti a prendere la terza ruota di
corsa e scappare solo sotto gli occhi dello spettatore incredulo. Dopo la
sudata dovevano iniziare di nuovo a cercare un’altra auto come quella. Mentre Sadok
guidava il furgone cercando una nuova auto da colpire, lui si divertiva a
crepare i parabrezza delle auto parcheggiate al bordo della strada, tirando con
violenza i bulloni, messi in tasca, dal finestrino in corsa. Ridevano e quanto
ridevano, insieme si divertivano tantissimo, un divertimento che andava a
discapito di molti altri. Guidando Sadok fumava una canna che aveva tirato
fuori da un pacchetto di sigarette, l’aveva girata nel pomeriggio e se l’era
dimenticata per quanto era ubriaco. L’altra macchina era stata avvistata, a dir
la verità erano due le macchine avvistate, una la 600 mentre l’altra che gli
stava di fronte era una Panda, perfetta data l’assenza di antifurto. Inoltre insieme
al crick, fortuna loro, dopo averla aperta avevano trovato anche il portafoglio
del malcapitato padrone che oltre a sessanta euro conteneva al suo interno nella
taschina delle monete un blister vecchio e logoro, ma con ancora ben quattro
Roipnol dentro. Gioia, felicità e scalpore. Mangiarono immediatamente gli
psicofarmaci senza pensarci due volte e ripartirono all’attacco, proseguendo il
lavoro. Il padrone dell’automobile molto probabilmente doveva essere un altro
tossico o tutt’al più un povero malato di testa, loro preferivano credere
all’ipotesi del fattone, sicuramente si sentivano molto meno in colpa vedendola
in quel modo, anche se poi di colpa non è che ne sentissero tanta in generale. Il
viso del nostro amico era ormai deformato dalle sostanze, la bocca restava
spalancata con una mascella sempre più calante e gli occhi erano sempre più
chiusi e sempre più rossi.
Nonostante tutto, i due erano di nuovo impegnati
nello svitare i bulloni e nel sollevare la macchina. Veloci, erano molto
veloci. In men che non si dica la ruota veniva di nuovo sfilata e caricata
all’interno del furgone da battaglia, se il principale di Sadok avesse saputo
che prendeva il furgone della ditta tutte le notti di sicuro non avrebbe
tardato a licenziarlo, ma fortuna per lui, il magazziniere che guardava anche
il garage della ditta era uno tranquillo, quindi gli reggeva il gioco, ricevendo
in cambio un po’ di fumo.
Stavano
ripartendo, quando il tunisino disse all’altro di riscendere per riprendere il
crick, perché gli sarebbe di sicuro servito ancora, lui non se lo fece ripetere
due volte, aprì lo sportello e via giù in strada un’altra volta. Girava la
manopola rapidamente, ma lo strumento che era stato messo male da principio si
sfilò di scatto da sotto l’auto e questa cadde in terra facendo un grande
rumore. L’antifurto iniziò a suonare, mille finestre si illuminarono e mille facce
si affacciarono tutte insieme. Ma gli occhi assonnati dei condomini non furono
così svelti da poter veder la sagoma del mezzo che si allontanava sotto gli alberi,
ne per sentire le risa che si trascinavano dietro i due pazzi per le strade
deserte della capitale. Al bordo della strada, vicino al marciapiede rimaneva
la sventurata macchina, priva di una ruota, che piangeva come un bambino a cui
erano state tolte le caramelle. Il rumore dell’antifurto era sempre più
distante come il pericolo, ancora una volta era andato tutto per il verso
giusto, o almeno per adesso così sembrava. La mano di Sadok si staccò dal
volante e si poggiò sullo stereo che venne acceso, il laser colpì il Cd e la
musica iniziò, avevano finito, si stava facendo giorno e potevano andarsi
finalmente a riposare.
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