É Tutto a Posto.
Capitolo Sei.
Amara Sorpresa.
Le ruote sbattevano tra di loro, buttate dietro al furgone,
facevano rumore, ma era un rumore piacevole per le loro orecchie. Rumore di
vittoria, rumore di successo. Le mani lerce, sudice di grasso e di sporcizia
erano entrambe sporche. Dovevano lavarle. Dirigevano verso Santa Silvia una
zona nei paraggi di via Portuense. Guidavano verso il mercato alla ricerca
di una fontanella. Volevano lavarsele tutti e due. Erano così sporche che era
passato molto tempo dall’ultima volta che avevano potuto poggiarsele addosso. Il
nasone spruzzava acqua tutt’intorno, gli schizzi riempivano di pois scuri le
loro scarpe. Messe le mani sotto il gelido flusso d’acqua, ci vollero varie
strofinate prima di vederle tornare ad un colore sufficientemente pulito,
normale. La sporcizia scivolava via nella fessura nel suolo, scivolavano via
così quelle poche tracce che li collegavano al lavoro fatto durante la notte.
Un prurito tremendo lo affliggeva ormai da diversi minuti. Il sole con i suoi
raggi stava ormai già illuminando tutti i palazzi intorno a loro, al mercato si
iniziavano ad allestire i banconi. Non resisteva più, doveva assolutamente
grattarsi, e lo fece. D’un tratto la sua faccia sbiancò ed una smorfia di stupore e domanda si poggiò violentemente
su di lei. Grattandosi il didietro, alleviando il violento prurito si era
spiacevolmente accorto che decisamente c’era qualcosa che non andava. Iniziò a fare
mente locale e partì con un check up personale. Si sbatteva le mani addosso,
rovistava e tirava fuori tutto ciò che aveva nelle tasche. C’era qualcosa che
mancava all’appello. Precisando che per lui il check up consisteva nel controllare
se avesse con se chiavi, portafoglio con soldi, cellulare e documenti, si era
accorto che qualcosa tra queste era scomparsa, qualcosa non tornava all’appello.
Il portafoglio! Il portafoglio con i soldi, documenti e ketamina non c’era! Era
sparito! Come cazzo era successo? Non gli sembrava vero, nell’arco di un
secondo i suoi pensieri iniziarono a bussare alla porta della preoccupazione,
la preoccupazione più buia. Le macchine che avevano aperto erano innumerevoli,
le volte che avevano dovuto correre anche. Il panico iniziò a farsi più visibile
nel momento in cui comunicò la spiacevole notizia al compagno che non fece tardare una serie di insulti per
l’amico, insulti che di certo non lo stavano aiutando assolutamente.
Immediatamente risalirono in macchina e si diressero verso tutte le auto che li
avevano visti introdursi al loro interno nel corso della notte. Le scuole
iniziavano ad aprire i cancelli, i negozi tiravano su le serrande e loro
dovevano tornare su tutti i luoghi delle loro malefatte, sotto gli occhi dei
passanti freschi e riposati dopo il riposo notturno. I mille frammenti di vetro
scricchiolavano e stridevano sotto i loro piedi e sederi quando poggiavano su
di loro, le auto ne erano ricoperte. La gente sui marciapiedi li osservava
mentre imprecavano ad alta voce facendo finta di essere i diretti interessati e
proprietari delle vetture danneggiate. Il numero delle macchine diminuiva di
volta in volta dopo che le visitavano di nuovo una ad una, ma niente da fare,
il portafogli non saltava fuori. Qualcuno doveva averlo già trovato e adesso
molto probabilmente una volante della polizia si dirigeva verso casa sua con i
suoi genitori ancora a letto a dormire. Il giro fatto a ritroso era terminato e
non aveva dato esito positivo.
-
Che
cazzo faccio mò?-
-
Non
so veramente che ditte, che voi fa? Dimme te.-
-
Eccheccazzo
ne so io, già me vedo que’e facce da cazzo davanti a mi padre che je chiedono
ndo sto…-
-
Senti
a sto punto me sa che è mejo se te porto a casa-
-
Naa,
io così nce torno mica… Senti che faccio, cori vola ar commissariato a piazzale
dea radio che me vado a fa na bella denuncia…-
-
Dici?
E se quelli so già nnati?-
-
E
se quelli so già nnati me la pijo n der culo, e scatta a villeggiatura… Però se
non lo hanno trovato, je dico che quarche fijo de na mignotta me lo ha fottuto
e me tutelo a mestiere…-
-
Fa
come te pare, io te ce porto, daje nnamo de corsa…-
Il furgone sfrecciava,
slalomando tra le altre macchine in fila, correvano verso il commissariato e lì
lui avrebbe scoperto in prima persona se il fato gli era stato avverso più di
quanto non lo fosse già stato.
Il furgoncino si accostò al
bordo della strada i due si scambiarono un’occhiata che non presagiva niente di
gradevole.
-
Ahò
io vado, me sa che te forse è mejo se te dai, non se sa mai che questi vengono
pure a vede se sto co qualcun altro…-
-
Daje,
n bocca al lupo allora-
-
Crepasse
sto stronzo de lupo, ‘ccisua!-
L’amico gli sorrise e con un cenno della testa lo
congedò. L’altro adesso con aria cupa si avvicinava alla svelta un passo dietro
l’altro verso il portone del commissariato. Prima di entrare si accostò ad un
secchione dell’immondizia e senza farsi notare da anima viva poggiò il resto
degli stupefacenti, nascondendoli, non voleva portarli con se. Pensava a quanto
fosse stronzo. In più d’una occasione i suoi cari glielo avevano fatto notare
negli ultimi tempi ma era proprio in questi momenti che se ne rendeva
pienamente conto.
Avrebbe seriamente voluto darsi una botta di roba
prima di entrare, ma decisamente non era quello il momento per fare certi
pensieri, doveva inventare la storia da raccontare. In men che non si dica
aveva fissato i punti cardine del racconto, ora si sentiva più sicuro. Il
sipario si stava alzando e i riflettori erano puntati tutti su di lui. Era la
stella di quello show e doveva brillare come non avesse mai fatto prima.
Il citofono suonò.
-
Sono
qui per fare una denuncia di smarrimento o di furto non ne sono proprio certo…-
La porta si aprì e si richiuse alle sue spalle. L’agente
all’entrata indicò dove fosse l’ufficio che gli serviva. Salì le scale fino al
secondo piano, ufficio denunce. Bussò alla porta una voce sgraziata rispose
acconsentendo all’ingresso. Girò la maniglia e si affacciò sulla camera. Dentro
sedevano due poliziotti alle rispettiva scrivanie. L’ufficio era molto
squallido, grigio e i poliziotti al suo interno non aiutavano a dar colore con
quelle facce. Le scrivanie era colme di pile di fogli fotocopiati, lastre
bianche ricche di scritte nere, erano ovunque, sembravano quasi come colonne
per quanto erano alte. Gli agenti lo inquadrarono subito male con lo sguardo,
analizzandolo da cima a fondo. Il più grosso dei due gli fece cenno di sedere.
Lui s’accomodò sulla sedia posta di fronte alla scrivania e iniziò la recita.
Quella sera era stato prima a Trastevere a cena,
specificando il nome del ristorante ma fino lì tutto bene, dopo il pasto serale
aveva deciso insieme alla sua ragazza ed ad un’altra coppia di andare a ballare
in discoteca e proprio lì dopo l’ingresso e dopo aver pagato l’entrata e la
seconda consumazione si era visto sprovvisto del suo portafogli nero di pelle,
contenente 200 euro e documenti, tra cui patente, codice fiscale e patente B di
guida. Date le generalità incrociò le dita e il destino volle che non
risultasse nulla. Il computer non dava nessun tipo di riscontro. Nessuno aveva
denunciato il danneggiamento di una macchina o furto di ruote menzionando il
suo nome. Nessun reato lo riguardava ne da lontano, quanto meno da vicino, il
sorriso già stava tornando ad arricchire le sue guancie bianche. Firmati tutti
i fogli e carte varie uscì vincitore dal commissariato dopo soli pochi minuti,
arricchendo quelle pile di fogli simili a
colonnati. Riaccese il telefono comunicò a casa che stava ancora in giro
e che stava per rientrare, ma non
sarebbe rientrato se prima non avesse di nuovo visto Sonia. Chiamò un taxi. Il
taxi arrivò e salì.
Il taxi percorso il tragitto da lui descritto si
parcheggiava sotto casa di Sonia, sceso raccomandava al tassista di aspettarlo,
e che entro breve sarebbe sicuramente tornato, pagò la prima parte dell’importo
e si diresse verso il portone che lo divideva dal premio che sentiva d’aver
meritato dopo tutto quel terribile trambusto imprevisto.
In quattro e quattro, otto raccontò la vicenda alla
ragazza che non potè che mettersi a ridere.
-
Tu
sei tutto matto!-
-
No,
io so scemo proprio!-
Si scambiarono un bacetto e risalì sul taxi dopo
aver sceso le scale del palazzo.
Si era accomodato sui sedili posteriori in pelle
della Mercedes bianca che lo scarrozzava per la città. Guardava fuori dal
finestrino mentre l’eroina gli tornava in circolo e lo cullava in quel limbo
provvisorio che amava tanto. Guardava i genitori in ritardo affaccendati con i
bambini piccoli da portare a scuola, guardava la gente comune che si dirigeva
sempre più distrutta verso il lavoro, il lavoro di una vita. Queste scene lo
facevano riflettere e pensare ad un futuro in cui lui si sarebbe dovuto trovare
in quelle situazioni, niente di più lontano per lui in quel momento, con la
vita che conduceva. Un giorno prima o poi tutta quella giostra che era la sua
vita sarebbe dovuta finire, ma in che modo? Non ne aveva idea. Lasciava correre
le giornate, e scorrere il tempo e questo lasciarsi andare lo faceva sentire sempre
più diverso, diverso da quella che era la società normale. Fingeva e si
costringeva a voler passare per uno di loro, ma era completamente consapevole
del fatto che non era assolutamente come loro. Viveva due vite, due facce della
stessa medaglia, il giorno lo vedeva composto nella farsa di una faccia pulita
e tranquilla, ma la sera quella faccia era stravolta dalle situazioni, dalle
persone che frequentava e dalla droga
che assumeva. Il circo degli eventi, era così che immaginava la sua vita, come
un circo fatto di conoscenze, di numeri, cifre, di polveri e di racconti, tanti
racconti. I racconti delle sue vicende avevano accompagnato le serate di molte
persone, sapeva intrattenere il pubblico, il suo pubblico, il suo show. Viveva
in un film? Sua madre era convinta che ormai fingesse una parte, era diventato
un personaggio, ne era sempre più certa. Per il genitore ovviamente era così,
perché questo vedeva solamente la parte diurna di lui, invece quella celata, la
parte nascosta non la viveva mai dal vivo, ne poteva conoscere giusto gli
strascichi, strascichi sempre più frequenti che venivano a minare la
tranquillità dell’altra identità parallela, quella che conduceva a casa e in
famiglia. Le denunce, i pericoli, le risse, le fughe, i treni, le scritte, la
droga e i soldi, per quanto cercasse di nascondere, venivano sempre più allo
scoperto. Non era possibile gestire questo flusso incontrollabile di eventi che
gli turbinavano contro portandoselo via, portando via la persona che era sempre
stata prima di tutto questo. A casa non si viveva più bene, il pensiero di
quello che poteva fare quando era fuori in giro, turbava tutto il nucleo
famigliare, le preoccupazioni di uno si riversavano sull’altro e quelle
dell’altro su l’altro ancora, l’unico che non viveva poi così tanto questo
supplizio era proprio lui perché a casa non ci stava praticamente mai. Usciva
il giovedì dopo pranzo e tornava anche il lunedì sera delle volte.
Letteralmente spariva, si eclissava, ovviamente si eclissava, per il fatto che
non poteva svelare le condizioni in cui sempre più spesso versava. Si
nascondeva, saltava dalla casa di un amico a quella di un altro, in un continuo
via vai senza fine. Il tutto sembrava veramente essere senza fine.
Si era addormentato, il troppo pensare lo aveva
stravolto. Il tassista proseguiva la sua corsa ormai senza le sue indicazioni.
La macchina scivolava per le strade sull’asfalto bagnato, il riflesso delle
finestre dei palazzi sul finestrino sembravano guardarlo. Quelle persone, quei
visi affacciati sui loro davanzali lo guardavano, ma restavano indifferenti,
come molte delle persone che lo circondavano, nessuno di loro si interrogava
sul perché di tanto odio verso la serenità, di tanto odio verso una vita come
le loro. Era solo, sempre più solo in un oblio di confusione. Quando riaprì gli
occhi, le prime gocciarelline di pioggia si stavano posando su quel finestrino
che rifletteva il fantasma di una vita per lui così distante. Si guardò intorno
non capiva dove era. Poi riconobbe il colore inconfondibile del tetto del suo
palazzo, si diede una scrollata e si riacciuffò. Il tassista comunicava il prezzo
della corsa, che lui non si fece mancare di pagare. Il taxi l’aveva riportato a
casa. La sua macchina era ancora in giro, pensò che la sarebbe andata a
riprendere in un secondo momento, se ne era completamente scordato. Salutò il
tassista, aprì il portone e salì le scale verso la sua dimora. Ancora una volta
era tornato, tornato alla base sano e salvo.
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