martedì 3 dicembre 2013

É Tutto a Posto - Capitolo Nove - Metro B.



Le bombolette spray ad ogni curva che la macchina faceva tintinnavano rumorosamente, il suono metallico che producevano durante la guida gli metteva serenità. Gli spray erano buttati alla rinfusa nel portabagagli ed al minimo movimento brusco sbattevano tra di loro cantando allegramente. Prima le sentivi rotolare e poi scontrandosi una addosso all’altra, sembrava si divertissero come bambine in mezzo ad un prato, facendo più chiasso gli fosse possibile.
La settimana era stata una di quelle più tranquille dal punto di vista della salute ed al contrario una di quelle più rischiose dal punto di vista legale. Ultimamente era tornato a colpire i vagoni ormai distrutti della linea B di Roma. Tutte le volte che era stato in yard, dal deposito della metro era riuscito ad andarsene felice e soddisfatto del lavoro compiuto a termine. Che fosse la notte o mezzogiorno spaccato non faceva differenza, se stava in compagnia o da solo neppure, l’unica cosa di cui era veramente certo era che la voglia di scrivere era tornata e così stava dando sfogo alla sua sete di metallo e vernice. Il più delle volte a Magliana, il deposito più grande della linea B, si era costretti a scappare, i vigilantes vegliavano sul deposito con un certo accanimento ed il rapporto tra writer e guardie non era mai stato tra i migliori. Su quelle banchine non c’era volta in cui non si era costretti a darsela a gambe levate e così nel momento in cui si scavalcava la recinzione ci si metteva immediatamente in testa l’idea che finchè qualcuno di turno non si fosse accorto di te, si sarebbe rimasti dentro il più a lungo possibile, salvo quelle rare volte in cui si riusciva a terminare la vernice prima che qualcuno si mettesse a tirarti sassi o correrti dietro.
La frenesia, il piacere e la passione per quella disciplina sono difficili da spiegare se non le si hanno mai vissute di persona, ci sono una miriade di elementi che contribuiscono a rendere unica ed inimitabile quell’arte proibita. Le attese sotto al sole o al buio illuminati dalla luna, l’odore di un binario, aroma inconfondibile e il rumore dei sassi lungo i binari che scricchiolano e sfregano tra di loro sotto le suole delle scarpe più logore, l’adrenalina che sale con la consapevolezza di trovarsi in un luogo in cui è vietato l’accesso, le corse e fughe inseguiti delle guardie infuriate come non mai, gli spari di pistola, le pallottole che fischiano in aria e ti fischiano accanto, il calore sprigionato dall’asfalto bollente che deforma la tua visuale; si potrebbe proseguire per molto ancora, perché erano veramente innumerevoli le cose che lo facevano impazzire di quei momenti, ma forse la cosa che più lo incantava era il fatto che in fin dei conti il writer è come se vivesse due vite parallele ben distinte tra loro, di giorno si è lo studente composto ed educato che studia e lavora, invece di notte presi gli spray in mano ci si trasforma in qualcun altro, un criminale, un vandalo, un artista illegale in incognito per gli occhi della società. Sentiva il writer come il suo alter ego, vivendo una doppia vita come nei suoi fumetti di supereroi, e celando la sua identità segreta.
Quella sera a Trastevere era sceso sul tardi, precedentemente era stato a cena da Claudia con i genitori, avevano visto un film insieme a loro e poi si erano sdraiati un po’ sul letto continuando a vedere la TV, poi fatto un po’ di sesso e considerata l’ora aveva deciso di scendere giù a Trastevere anche se a lei non andasse così tanto, infatti poi Claudia rimase a casa e lui uscì da solo. Passato a piedi per il S.Calisto e vedendo che in mezzo alla folla brulicante di visi, braccia gesticolanti e giacche colorate non ci fosse nessuno che colpisse la sua fantasia decise di dirigersi verso Ponte Sisto, passando per vicolo del Bologna e piazza Trilussa. Durante il tragitto si fermò in un bar per acquistare una Ceres e sorseggiandola mentre meditava ancora se andare o meno all’arrembaggio, fece un’incontro in mezzo a tutte quelle persone a piazza Trilussa che fugò ogni suo dubbio sul prossimo futuro.
Un suo compagno d’università, writer anch’egli, ed a cui si era legato molto quel periodo tanto da frequentarlo anche al di fuori degli studi ed esami, stava bevendo una birra in compagnia di qualche altra sua conoscenza, nell’immediato istante che lo avvistò, gli andò incontro e gli propose l’affare senza pensarci su due volte, l’altro allettato dall’idea di dipingere la metro, cosa che a lui non capitava spesso, diede subito conferma. In quel preciso istante i due erano molto contenti ed adrenalinici, pianificavano la loro idea di serata perché ancora non sapevano che per entrambi quella sarebbe diventata una notte molto lunga, una di quelle notti che difficilmente si dimenticano per il resto della propria vita. Aspettarono il momento e l’ora adatta per mettersi in moto e partirono in automobile alla volta del deposito più amato dal protagonista del nostro racconto. La notte, durante quel periodo, per dipingere non era il massimo della tranquillità, infatti le volte in cui gli era andata meglio erano state tutte durante le ore del giorno con il sole che splendeva alto nel cielo, ma la voglia era tanta quella sera tanto da fargli pensare che il solo tentativo valesse la pena. Percorsero viale Marconi ad andatura sostenuta tanto era il magnetismo che li spingeva verso il metallo, mentre guidava, dava delle dritte, consigli e nozioni all’altro su come si sarebbe dovuta svolgere la loro missione. Spiegava come sarebbero entrati, dove avrebbero lasciato l’auto, da dove sarebbero potute arrivare sorprese amare, dove andare a rifugiarsi nel caso di imprevisti, dove nascondersi nei momenti di stallo in cui fossero uscite delle guardie per le loro ronde notturne etc, etc… Il deposito per ogni writer che si rispetti, diventa familiare come un campo da gioco per uno sportivo, è il luogo dove si gioca l’unica partita che può darti come vittoria un vagone della metro che gira in città con il tuo nome sopra.
Mentre parlava erano arrivati di fronte un canile che distava non troppo dall’ingresso improvvisato da dove avrebbe voluto intrufolarsi con l’amico, parcheggiarono, scesero dalla vettura e si incamminarono lungo la via del Mare, arrivati all’imbocco fece mettere l’altro da una parte e lui decise di entrare in avanscoperta. Scavalcò la ringhiera e poi la rete che lo divideva dai treni fermi, immoti come animali addormentati sui binari e lungo le banchine silenziose, illuminate dai pali della luce sistemati a distanza identica l’uno dall’altro.
Arrivato ai treni si affacciò cautamente e in silenzio sulle banchine per vedere se ci fosse movimento, era tutto avvolto in una stasi che non lo faceva star bene. Era tutto troppo tranquillo. Lui avvertiva che c’era qualcosa che non andava nel verso giusto, c’era un non so che nell’aria che non lo faceva stare tranquillo, era tutto troppo semplice tanto da rendere la cosa surreale, gli sembrò di vivere un quadro di De Chirico. Le luci gialle ed immobili dei lampioni proiettavano lunghe ombre, che disegnavano forme geometriche tutto intorno, nessun rumore arrivava al suo orecchio, nemmeno il vento sembrava che tirasse in quel momento, era tutto identico all’istante precedente e a quello dopo, il tempo si era fermato. Ad un tratto un sasso sotto di lui si mosse e provocò un leggero rumore che spezzò l’incantesimo da cui era stato stregato, scosse per un poco la testa da sinistra a destra e decise trattenendo il respiro di entrare anche dentro al capannone per assicurarsi che non ci fossero sorprese dietro l’angolo. Il capannone era illuminato che sembrava fosse giorno al suo interno, passò dietro un treno, ma non riuscì a vedere o sentire anima viva. Accertatosi che ci fossero solo loro nelle vicinanze, tornò indietro a chiamare l’amico.



-        Ahò! Come è andata?
-        Sembra tutto tranquillo…
-        Allora da paura, no? Che dici se po’ fa?
-        Te dico a verità, è tutto troppo tranquillo. A me sta cosa non me piace pe niente, me puzza na cifra…
-        Dici?
-        Dico sì… Comunque vabbè, se semo arivati fino qua a sto punto famo de corsa, ‘na volata e se damo come ‘r vento, daje scavarca!
L’altro messo un piede dopo l’altro sulla ringhiera scavalcò e si trovò anch’egli dall’altra parte. Di nuovo superarono la rete e decisero di salire in banchina per farsi un “top to bottom colorato” a testa. Poggiati gli spray sull’asfalto delle banchine iniziarono a dare le traccie. I colori si mischiavano con gli strati di vernice vecchi di anni che stavano sui fianchi devastati dei bestioni di ferro, lui continuava a non essere assolutamente tranquillo, ed era lui quello esperto del posto, infatti durante tutto il tempo che stettero là sopra scese ben tre volte per andare ad accertarsi che tutto continuasse a scivolare per il verso giusto. Niente non c’era niente che riuscisse a vedere, eppure nel mentre in cui riprendevano a dipingere era sicuro di sentire, anche se nascosto dal soffio delle bombolette, che ci fossero dei sassi che sbattevano come se qualcuno stesse camminando e che si stesse avvicinando verso di loro. Dopo la terza volta che scese, avvertì l’altro – Sbrigate a da l’outline che questi sò arivati, lì sto a sentì, sbrighete! – Appena girò la testa finita la frase, si accorse che dietro al palo della luce, prima della scaletta che permetteva di salire in banchina, c’era un uomo vestito in blu che ci si nascondeva dietro. Lui lo vide, l’altro iniziò a tirargli sassi ad altezza viso, sulla banchina tra i due treni lo spazio in cui divincolarsi diventa molto ridotto e la possibilità di essere colpiti è veramente molto alta. I due scapparono, iniziarono a percorrere l’unico spazio che gli era concesso, ossia la lunghezza del treno. La banchina in quei casi diventa come un vicolo cieco, perché probabilmente correndo verso la fine del treno, uno ci si allontanava dal punto di ingresso, ma soprattutto si correva il rischio di correre in braccio alle altre guardie che aspettavano dal lato opposto del treno. Infatti come ci si poteva aspettare così fu, appena scese le scalette sbucò da dietro la locomotiva un altro uomo in divisa blu, il nostro amico lo spinse istintivamente battendogli la mani in pieno petto, quello cadde in terra sbattendo il sedere al suolo. La loro corsa continuò in direzione della rete, che una volta scavalcata insieme alla ringhiera in questo caso sbucava sui binari del lido, il treno metropolitano per ostia, però stavolta ben distanti dal loro punto d’ingresso. Dalle fratte al bordo della strada ferrata spuntò un’altra guardia con tanto di torcia in mano che li intimò di fermarsi immediatamente, di certo i due non ci pensarono neanche per un secondo e proseguirono la fuga in direzione della stazione di Magliana. Correndo verso la stazione si riavvicinavano all’uscita, ce l’avevano quasi fatta. Arrivarono sbattendo violentemente le braccia alla ringhiera, scavalcarono e uscirono con un balzo all’esterno. Era buio per strada e ripresa la corsa il nostro amico non vide una catena tirata da un palo all’altro di fronte a lui, e scattando la prese in pieno petto. Paradossalmente quell’incidente lo salvò, perché gli permise di non andare in braccio alla macchina dei metronotte parcheggiata nell’oscurità. In un millesimo di secondo le luci si accesero, un guardiano era di fuori con la pistola in mano – Fermi o sparo! – Non si fece mancare l’intimidazione, che però non ebbe buon esito, tutti e due voltarono la schiena e quella ringhiera appena scavalcata, veniva superata ancora con un balzò fulmineo di nuovo verso l’interno. Nel mentre le giacche blu degli altri inseguitori sul binario, si erano fatte molto più nitide e le voci molto più vicine tanto che si potevano benissimo ascoltarle. Un passo dopo l’altro l’inseguimento continuava ed iniziava a far barcollare il nostro amico avendo bevuto, fumato e poi assaporato qualche sostanza qua e là, però senza eccedere come sua consuetudine, la sua vista ad ogni modo iniziò ad appannarsi , finchè non vide completamente nero, buio pesto e cadde giù lungo la parte ripida e scoscesa al fianco del binario. Si immerse completamente all’interno di un rovo, che costeggiava un muro grezzo di mattoni ruvidi e grigi, con  l’ultimo spiraglio di forza e lucidità, riuscì a tirarsi ancora su e scavalcare quell’impervio ostacolo che lo divideva con qualche difficoltà da una proprietà privata a lui ancora ignota. Cadde malamente a terra, non riusciva più a respirare bene era entrato in un completo stato di iperventilazione, il cuore batteva all’impazzata, gli facevano malissimo i polmoni per tutta quell’aria gelida che aveva respirato a più non posso e così iniziò a rigettare i pochi resti della cena insieme ad un mare di succhi gastrici, acidi da morire, che gli facevano contorcere il viso piegato dagli sforzi e spasmi sofferti dallo stomaco. Nel mentre arrivò anche l’altro stremato come l’amico, si guardarono intorno, dal momento in cui erano entrati in quel luogo non erano quasi più riusciti a sentire niente che non fosse l’abbaiare impazzito di mille cani inferociti, erano cascati nella gabbia di uno dei cani del canile lì accanto e adesso dovevano trovare un qualche rifugio. Usciti dalla recinzione, iniziarono a scorgere sia i fasci gialli luminosi sparati dalle torce degli inseguitori, sia le finestre del guardiano che si accendevano una dopo l’altra, così presi dall’agitazione, riuscirono a trovare un gabbiotto basso e vuoto usato come cuccia per cani, entrarono immediatamente senza pensarci su due volte, accucciandosi e camminando quasi carponi. La pianta di quella piccola costruzione era fatta come una E maiuscola, quindi offriva come una corridoietto separato da un muretto interno che offriva una qualche possibilità di riparo dalla vista esterna. Si schiacciarono nello spazio in fondo, sperando che se avessero cercato non avessero cercato così in fondo. Erano la quattro di notte e loro erano in una situazione più che spiacevole. I passi e le voci si facevano più forti, la gabbia costeggiava con un lato la ferrovia quindi per loro era possibile ascoltare tutto quello che dicevano i loro aguzzini, mentre i cani con un po’ di tempo smisero d’abbaiare. La torcia del guardiano si fece vedere in giro, si affacciò lì accanto a loro, la luce spizzava gli angoli del muretto come un giocatore di Texas Hold’em fa con la carta appena tirata su, ma fortunatamente non successe nient’altro di allarmante per almeno quel momento. Nell’istante in cui si accertarono che chi li stava cercando non aveva capito che fine avessero fatto tirarono tutti e due un sospiro di sollievo. Anche il guardiano del canile finito il suo giro e assicuratosi che niente fosse fuori posto si convinse che poteva anche tornarsene a dormire un pochino e così fece. I lampeggianti delle sirene delle macchine della vigilanza sfrecciavano sulla via del Mare ininterrottamente, i due vandali gli erano riusciti a scappare e questa cosa non gli andava giù, per giunta dovevano essere ancora convinti che i fuggiaschi non dovessero essere poi così lontano tanto che non mollarono la presa per parecchio tempo ancora. Ripreso fiato i due universitari si consultarono “a tavolino” per così dire e decisero che l’unico momento buono per scappare doveva essere intorno alle sei del mattino, visto che il servizio di trasporto cominciava di nuovo e il rumore del treno poteva essere l’unica cosa che coprisse i loro passi sul brecciolino. I loro passi infatti appena usciti dal gabbiotto e arrivati sul selciato davano inizio ad un coro d’ululati e latrati che i cani di guardia non aspettavano a far mancare ad ogni tentativo di fuga. Passarono due ore rannicchiati al freddo e con un’umidità che faceva battere i denti. Fatte le sei, il sole cominciava a rischiarare l’orizzonte tutto intorno al deposito, e loro preso il coraggio a due mani attaccarono a correre verso il cancellone del canile per scavalcarlo il più velocemente possibile. Balzati dall’ altro lato della barriera architettonica, si apprestarono ad attraversare la via del Mare saltando il Guard Rail con un balzo. Si intrufolarono nel canneto dall’altro lato della strada per togliersi dalla vista delle automobili di passaggio, anche perché con la luce individuarli era diventato molto più semplice. Passate le canne e i rovi, dall’altra parte si stendeva in tutta la sua lunghezza la corsia ciclabile. Pensavano che ormai raggiunta quella avessero quasi toccato con un dito la libertà, quando la loro soddisfazione fu brutalmente distrutta dall’avvicinarsi repentino degli abbaglianti di una macchina che correva sfrecciando lungo il tragitto ciclabile. Si gettarono senza starci a pensare tra il canneto alla loro destra, quella che stava passando di corsa era una delle vetture che li stava ancora cercando, non potevano crederci, non era possibile! Questa situazione gli fece abbandonare la speranza di tornare alla macchina, era completamente esposta al controllo costante del Security Service, così decisero di dirigersi a piedi verso viale Europa e da lì chiamare un taxi. Dopo un lungo camminare, approdarono alla più vicina cabina telefonica, i loro documenti, telefoni, soldi e chiavi erano stati lasciati custoditi in macchina e di conseguenza adesso per loro erano irraggiungibili. Chiamarono il taxi con l’intenzione di passare dalla macchina e vedere la situazione, nel caso non fosse stata delle più gradevoli avrebbero optato per dirigersi verso casa di lui, perché la più vicina e dove avrebbe svegliato il fratello per farsi aprire e prestare i soldi per il tassista. Procedevano lungo la via del Mare quando arrivati in prossimità dell’auto si accorsero che questa era completamente circondata da divise e cappelli, niente da fare quindi bisognava dirigersi verso casa. Il fratello di lui all’ascolto del racconto e finito di pagare il tassista non potè che farsi sfuggire un’espressione di sconforto e tristezza per il fratello maggiore. L’altro silenziosamente abbassò lo sguardo e proseguì verso la sua stanza con l’amico per prendersi un po’ di meritato riposo. Fortunatamente i genitori erano partiti in quell’occasione e così riuscì ad evitarsi almeno quelli loro di sguardi. A pranzo una volta svegliati, con l’amico al seguito presero la macchina della madre per andare a recuperare l’altra lasciata incustodita da tutta la notte, ma non si aspettavano che anche questa semplice azione si sarebbe rivelata più complicata del normale.
Arrivati di nuovo alla macchina parcheggiata, la scena che gli si presentava davanti gli occhi era la stessa della mattinata solamente amplificata, se prima là intorno c’erano tre guardie adesso le guardie erano diventate sette e tra l’altro discutevano anche molto animatamente tanto che i due scoraggiati decisero di ritentare più tardi. Verso le quattro del pomeriggio la situazione sembrava essersi calmata finalmente, ma quella che gli si mostrava sotto gli occhi attenti era solamente un’illusione. Accostata la macchina ancora accesa alla vettura parcheggiata e di corsa aperta la portiera, il padrone si diresse verso la sua auto, ma lo spettacolo che gli si presentava davanti gli occhi increduli non era dei più soddisfacenti, la vettura era stata completamente danneggiata, le luci con gli stop erano scoppiati a suon di calci, tutte le fiancate con cofano e portellone rigate pesantemente con un mazzo di chiavi, la serratura scardinata e aperta la portiera dal cruscotto erano stati prelevati novecento euro che il nostro amico aveva furbamente pensato di lasciare lì per non portarseli dietro, i documenti con i nomi e indirizzi erano stai rovistati e come se non bastasse avevano trovato l’unico spray superstite alla nottata. Mentre stava smaddonnando ad alta voce e sbraitava contro le forze dell’ordine venne accostato da uno dei metronotte che come per magia sbucò dal nulla, nascosto in un cespuglio e lasciato là da qualche parte in attesa che il padrone della Golf fosse tornato indietro. Quest’ultimo avvicinatosi con fare furtivo una volta raggiunto il ragazzo che imprecava commentò – Certo che je avete fatto rode r culo forte sta notte, eh? – ed aggiunse – non so mica che avete combinato, ma ve consijo de pijavve la robba vostra alla svelta e de filà, anche perché se me dovessero vedemme qui co voi me fate passà n guaio pure a me e ve lo dico da amico… Questi non ve vojono denuncià o che, questi ve pistano proprio, quindi sbrigative, dateve e pure de corsa!- Il ragazzo, incredulo dell’accaduto, senza emettere verbo acciuffò tutta la roba che rimaneva da prendere, scattò di nuovo sul sedile in macchina con l’altro e se la diedero a tutta birra.
-        Sti fiji de na mignotta! Mortacci loro e de sti pezzi demmerda! –
-        Porca puttana, n sai quanto me dispiace… -
-        Dimmelo a me, mò che je dico a mi padre, che palle! –
-        Poi mò come te la vai a riprenne? –
-        Cor caroattrezzi pefforza, so pure artri sordi… Lascia perde non vojo sta a parlà de soldi… -
Tornato ancora una volta dal fratello minore, escogitarono un racconto tale che potesse reggere nel qual caso avesse dovuto anche giustificarsi con Carabinieri o Polizia, perché da come si erano messe le cose, tutto lasciava presagire che ci sarebbero stati ancora non pochi ostacoli per portare in salvo la macchina verso casa, o almeno quel che ne restava. Chiamato il carroattrezzi e fattosi venire a prendere, si diresse verso il parcheggio dando di svolta in svolta le indicazioni per raggiungere la vettura disastrata. Raggiunta la via del Mare in un battibaleno furono prima accostati e poi seguiti da una volante del Security Service che non si dimenticò di chiamare anche i Carabinieri. Sceso dal carro, quindi iniziò immediatamente un fantastico racconto \ episodio di lui ubriaco diretto ad Ostia per andare in un locale a ballare col fratello, che però preoccupato per le sue condizioni lo costrinse ad abbandonare la macchina per sicurezza sua e stradale e a proseguire il viaggio con lui nella sua vettura. Nessuno crebbe a quella storia, ma in ogni caso nessuno poteva dire con certezza che fosse stato lui uno dei due fuggiaschi nella notte. Contestò anche il fatto che il metronotte sapesse cosa ci fosse all’interno della sua Golf, quando in realtà ne sarebbe dovuto essere all’oscuro. Chi aveva danneggiato l’auto in quel modo? Quale poteva essere la ragione per la quale un’automobile venisse distrutta in quella maniera, lasciata semplicemente parcheggiata in un luogo per una notte? Dopo una lunga discussione, venne fatto andar via e gli fu permesso di riportare indietro il rottame. I genitori tornarono la sera stessa più tardi e furono costretti ancora una volta a dover sottostare ad una lunga serie di scuse e giustificazioni. Il rischio per la salute, la fedina penale, i soldi, la macchina, lo spavento, la costante ansia in cui li faceva vivere, tutti i tasti vennero toccati come sempre. Ancora una volta era tornato a casa sano e salvo, ma la macchina non poteva dire lo stesso, ancora una volta i danni furono tanti e ancora una volta le ripercussioni si sarebbero fatte sentire a lungo raggio.