martedì 3 dicembre 2013

É Tutto a Posto - Capitolo Nove - Metro B.



Le bombolette spray ad ogni curva che la macchina faceva tintinnavano rumorosamente, il suono metallico che producevano durante la guida gli metteva serenità. Gli spray erano buttati alla rinfusa nel portabagagli ed al minimo movimento brusco sbattevano tra di loro cantando allegramente. Prima le sentivi rotolare e poi scontrandosi una addosso all’altra, sembrava si divertissero come bambine in mezzo ad un prato, facendo più chiasso gli fosse possibile.
La settimana era stata una di quelle più tranquille dal punto di vista della salute ed al contrario una di quelle più rischiose dal punto di vista legale. Ultimamente era tornato a colpire i vagoni ormai distrutti della linea B di Roma. Tutte le volte che era stato in yard, dal deposito della metro era riuscito ad andarsene felice e soddisfatto del lavoro compiuto a termine. Che fosse la notte o mezzogiorno spaccato non faceva differenza, se stava in compagnia o da solo neppure, l’unica cosa di cui era veramente certo era che la voglia di scrivere era tornata e così stava dando sfogo alla sua sete di metallo e vernice. Il più delle volte a Magliana, il deposito più grande della linea B, si era costretti a scappare, i vigilantes vegliavano sul deposito con un certo accanimento ed il rapporto tra writer e guardie non era mai stato tra i migliori. Su quelle banchine non c’era volta in cui non si era costretti a darsela a gambe levate e così nel momento in cui si scavalcava la recinzione ci si metteva immediatamente in testa l’idea che finchè qualcuno di turno non si fosse accorto di te, si sarebbe rimasti dentro il più a lungo possibile, salvo quelle rare volte in cui si riusciva a terminare la vernice prima che qualcuno si mettesse a tirarti sassi o correrti dietro.
La frenesia, il piacere e la passione per quella disciplina sono difficili da spiegare se non le si hanno mai vissute di persona, ci sono una miriade di elementi che contribuiscono a rendere unica ed inimitabile quell’arte proibita. Le attese sotto al sole o al buio illuminati dalla luna, l’odore di un binario, aroma inconfondibile e il rumore dei sassi lungo i binari che scricchiolano e sfregano tra di loro sotto le suole delle scarpe più logore, l’adrenalina che sale con la consapevolezza di trovarsi in un luogo in cui è vietato l’accesso, le corse e fughe inseguiti delle guardie infuriate come non mai, gli spari di pistola, le pallottole che fischiano in aria e ti fischiano accanto, il calore sprigionato dall’asfalto bollente che deforma la tua visuale; si potrebbe proseguire per molto ancora, perché erano veramente innumerevoli le cose che lo facevano impazzire di quei momenti, ma forse la cosa che più lo incantava era il fatto che in fin dei conti il writer è come se vivesse due vite parallele ben distinte tra loro, di giorno si è lo studente composto ed educato che studia e lavora, invece di notte presi gli spray in mano ci si trasforma in qualcun altro, un criminale, un vandalo, un artista illegale in incognito per gli occhi della società. Sentiva il writer come il suo alter ego, vivendo una doppia vita come nei suoi fumetti di supereroi, e celando la sua identità segreta.
Quella sera a Trastevere era sceso sul tardi, precedentemente era stato a cena da Claudia con i genitori, avevano visto un film insieme a loro e poi si erano sdraiati un po’ sul letto continuando a vedere la TV, poi fatto un po’ di sesso e considerata l’ora aveva deciso di scendere giù a Trastevere anche se a lei non andasse così tanto, infatti poi Claudia rimase a casa e lui uscì da solo. Passato a piedi per il S.Calisto e vedendo che in mezzo alla folla brulicante di visi, braccia gesticolanti e giacche colorate non ci fosse nessuno che colpisse la sua fantasia decise di dirigersi verso Ponte Sisto, passando per vicolo del Bologna e piazza Trilussa. Durante il tragitto si fermò in un bar per acquistare una Ceres e sorseggiandola mentre meditava ancora se andare o meno all’arrembaggio, fece un’incontro in mezzo a tutte quelle persone a piazza Trilussa che fugò ogni suo dubbio sul prossimo futuro.
Un suo compagno d’università, writer anch’egli, ed a cui si era legato molto quel periodo tanto da frequentarlo anche al di fuori degli studi ed esami, stava bevendo una birra in compagnia di qualche altra sua conoscenza, nell’immediato istante che lo avvistò, gli andò incontro e gli propose l’affare senza pensarci su due volte, l’altro allettato dall’idea di dipingere la metro, cosa che a lui non capitava spesso, diede subito conferma. In quel preciso istante i due erano molto contenti ed adrenalinici, pianificavano la loro idea di serata perché ancora non sapevano che per entrambi quella sarebbe diventata una notte molto lunga, una di quelle notti che difficilmente si dimenticano per il resto della propria vita. Aspettarono il momento e l’ora adatta per mettersi in moto e partirono in automobile alla volta del deposito più amato dal protagonista del nostro racconto. La notte, durante quel periodo, per dipingere non era il massimo della tranquillità, infatti le volte in cui gli era andata meglio erano state tutte durante le ore del giorno con il sole che splendeva alto nel cielo, ma la voglia era tanta quella sera tanto da fargli pensare che il solo tentativo valesse la pena. Percorsero viale Marconi ad andatura sostenuta tanto era il magnetismo che li spingeva verso il metallo, mentre guidava, dava delle dritte, consigli e nozioni all’altro su come si sarebbe dovuta svolgere la loro missione. Spiegava come sarebbero entrati, dove avrebbero lasciato l’auto, da dove sarebbero potute arrivare sorprese amare, dove andare a rifugiarsi nel caso di imprevisti, dove nascondersi nei momenti di stallo in cui fossero uscite delle guardie per le loro ronde notturne etc, etc… Il deposito per ogni writer che si rispetti, diventa familiare come un campo da gioco per uno sportivo, è il luogo dove si gioca l’unica partita che può darti come vittoria un vagone della metro che gira in città con il tuo nome sopra.
Mentre parlava erano arrivati di fronte un canile che distava non troppo dall’ingresso improvvisato da dove avrebbe voluto intrufolarsi con l’amico, parcheggiarono, scesero dalla vettura e si incamminarono lungo la via del Mare, arrivati all’imbocco fece mettere l’altro da una parte e lui decise di entrare in avanscoperta. Scavalcò la ringhiera e poi la rete che lo divideva dai treni fermi, immoti come animali addormentati sui binari e lungo le banchine silenziose, illuminate dai pali della luce sistemati a distanza identica l’uno dall’altro.
Arrivato ai treni si affacciò cautamente e in silenzio sulle banchine per vedere se ci fosse movimento, era tutto avvolto in una stasi che non lo faceva star bene. Era tutto troppo tranquillo. Lui avvertiva che c’era qualcosa che non andava nel verso giusto, c’era un non so che nell’aria che non lo faceva stare tranquillo, era tutto troppo semplice tanto da rendere la cosa surreale, gli sembrò di vivere un quadro di De Chirico. Le luci gialle ed immobili dei lampioni proiettavano lunghe ombre, che disegnavano forme geometriche tutto intorno, nessun rumore arrivava al suo orecchio, nemmeno il vento sembrava che tirasse in quel momento, era tutto identico all’istante precedente e a quello dopo, il tempo si era fermato. Ad un tratto un sasso sotto di lui si mosse e provocò un leggero rumore che spezzò l’incantesimo da cui era stato stregato, scosse per un poco la testa da sinistra a destra e decise trattenendo il respiro di entrare anche dentro al capannone per assicurarsi che non ci fossero sorprese dietro l’angolo. Il capannone era illuminato che sembrava fosse giorno al suo interno, passò dietro un treno, ma non riuscì a vedere o sentire anima viva. Accertatosi che ci fossero solo loro nelle vicinanze, tornò indietro a chiamare l’amico.



-        Ahò! Come è andata?
-        Sembra tutto tranquillo…
-        Allora da paura, no? Che dici se po’ fa?
-        Te dico a verità, è tutto troppo tranquillo. A me sta cosa non me piace pe niente, me puzza na cifra…
-        Dici?
-        Dico sì… Comunque vabbè, se semo arivati fino qua a sto punto famo de corsa, ‘na volata e se damo come ‘r vento, daje scavarca!
L’altro messo un piede dopo l’altro sulla ringhiera scavalcò e si trovò anch’egli dall’altra parte. Di nuovo superarono la rete e decisero di salire in banchina per farsi un “top to bottom colorato” a testa. Poggiati gli spray sull’asfalto delle banchine iniziarono a dare le traccie. I colori si mischiavano con gli strati di vernice vecchi di anni che stavano sui fianchi devastati dei bestioni di ferro, lui continuava a non essere assolutamente tranquillo, ed era lui quello esperto del posto, infatti durante tutto il tempo che stettero là sopra scese ben tre volte per andare ad accertarsi che tutto continuasse a scivolare per il verso giusto. Niente non c’era niente che riuscisse a vedere, eppure nel mentre in cui riprendevano a dipingere era sicuro di sentire, anche se nascosto dal soffio delle bombolette, che ci fossero dei sassi che sbattevano come se qualcuno stesse camminando e che si stesse avvicinando verso di loro. Dopo la terza volta che scese, avvertì l’altro – Sbrigate a da l’outline che questi sò arivati, lì sto a sentì, sbrighete! – Appena girò la testa finita la frase, si accorse che dietro al palo della luce, prima della scaletta che permetteva di salire in banchina, c’era un uomo vestito in blu che ci si nascondeva dietro. Lui lo vide, l’altro iniziò a tirargli sassi ad altezza viso, sulla banchina tra i due treni lo spazio in cui divincolarsi diventa molto ridotto e la possibilità di essere colpiti è veramente molto alta. I due scapparono, iniziarono a percorrere l’unico spazio che gli era concesso, ossia la lunghezza del treno. La banchina in quei casi diventa come un vicolo cieco, perché probabilmente correndo verso la fine del treno, uno ci si allontanava dal punto di ingresso, ma soprattutto si correva il rischio di correre in braccio alle altre guardie che aspettavano dal lato opposto del treno. Infatti come ci si poteva aspettare così fu, appena scese le scalette sbucò da dietro la locomotiva un altro uomo in divisa blu, il nostro amico lo spinse istintivamente battendogli la mani in pieno petto, quello cadde in terra sbattendo il sedere al suolo. La loro corsa continuò in direzione della rete, che una volta scavalcata insieme alla ringhiera in questo caso sbucava sui binari del lido, il treno metropolitano per ostia, però stavolta ben distanti dal loro punto d’ingresso. Dalle fratte al bordo della strada ferrata spuntò un’altra guardia con tanto di torcia in mano che li intimò di fermarsi immediatamente, di certo i due non ci pensarono neanche per un secondo e proseguirono la fuga in direzione della stazione di Magliana. Correndo verso la stazione si riavvicinavano all’uscita, ce l’avevano quasi fatta. Arrivarono sbattendo violentemente le braccia alla ringhiera, scavalcarono e uscirono con un balzo all’esterno. Era buio per strada e ripresa la corsa il nostro amico non vide una catena tirata da un palo all’altro di fronte a lui, e scattando la prese in pieno petto. Paradossalmente quell’incidente lo salvò, perché gli permise di non andare in braccio alla macchina dei metronotte parcheggiata nell’oscurità. In un millesimo di secondo le luci si accesero, un guardiano era di fuori con la pistola in mano – Fermi o sparo! – Non si fece mancare l’intimidazione, che però non ebbe buon esito, tutti e due voltarono la schiena e quella ringhiera appena scavalcata, veniva superata ancora con un balzò fulmineo di nuovo verso l’interno. Nel mentre le giacche blu degli altri inseguitori sul binario, si erano fatte molto più nitide e le voci molto più vicine tanto che si potevano benissimo ascoltarle. Un passo dopo l’altro l’inseguimento continuava ed iniziava a far barcollare il nostro amico avendo bevuto, fumato e poi assaporato qualche sostanza qua e là, però senza eccedere come sua consuetudine, la sua vista ad ogni modo iniziò ad appannarsi , finchè non vide completamente nero, buio pesto e cadde giù lungo la parte ripida e scoscesa al fianco del binario. Si immerse completamente all’interno di un rovo, che costeggiava un muro grezzo di mattoni ruvidi e grigi, con  l’ultimo spiraglio di forza e lucidità, riuscì a tirarsi ancora su e scavalcare quell’impervio ostacolo che lo divideva con qualche difficoltà da una proprietà privata a lui ancora ignota. Cadde malamente a terra, non riusciva più a respirare bene era entrato in un completo stato di iperventilazione, il cuore batteva all’impazzata, gli facevano malissimo i polmoni per tutta quell’aria gelida che aveva respirato a più non posso e così iniziò a rigettare i pochi resti della cena insieme ad un mare di succhi gastrici, acidi da morire, che gli facevano contorcere il viso piegato dagli sforzi e spasmi sofferti dallo stomaco. Nel mentre arrivò anche l’altro stremato come l’amico, si guardarono intorno, dal momento in cui erano entrati in quel luogo non erano quasi più riusciti a sentire niente che non fosse l’abbaiare impazzito di mille cani inferociti, erano cascati nella gabbia di uno dei cani del canile lì accanto e adesso dovevano trovare un qualche rifugio. Usciti dalla recinzione, iniziarono a scorgere sia i fasci gialli luminosi sparati dalle torce degli inseguitori, sia le finestre del guardiano che si accendevano una dopo l’altra, così presi dall’agitazione, riuscirono a trovare un gabbiotto basso e vuoto usato come cuccia per cani, entrarono immediatamente senza pensarci su due volte, accucciandosi e camminando quasi carponi. La pianta di quella piccola costruzione era fatta come una E maiuscola, quindi offriva come una corridoietto separato da un muretto interno che offriva una qualche possibilità di riparo dalla vista esterna. Si schiacciarono nello spazio in fondo, sperando che se avessero cercato non avessero cercato così in fondo. Erano la quattro di notte e loro erano in una situazione più che spiacevole. I passi e le voci si facevano più forti, la gabbia costeggiava con un lato la ferrovia quindi per loro era possibile ascoltare tutto quello che dicevano i loro aguzzini, mentre i cani con un po’ di tempo smisero d’abbaiare. La torcia del guardiano si fece vedere in giro, si affacciò lì accanto a loro, la luce spizzava gli angoli del muretto come un giocatore di Texas Hold’em fa con la carta appena tirata su, ma fortunatamente non successe nient’altro di allarmante per almeno quel momento. Nell’istante in cui si accertarono che chi li stava cercando non aveva capito che fine avessero fatto tirarono tutti e due un sospiro di sollievo. Anche il guardiano del canile finito il suo giro e assicuratosi che niente fosse fuori posto si convinse che poteva anche tornarsene a dormire un pochino e così fece. I lampeggianti delle sirene delle macchine della vigilanza sfrecciavano sulla via del Mare ininterrottamente, i due vandali gli erano riusciti a scappare e questa cosa non gli andava giù, per giunta dovevano essere ancora convinti che i fuggiaschi non dovessero essere poi così lontano tanto che non mollarono la presa per parecchio tempo ancora. Ripreso fiato i due universitari si consultarono “a tavolino” per così dire e decisero che l’unico momento buono per scappare doveva essere intorno alle sei del mattino, visto che il servizio di trasporto cominciava di nuovo e il rumore del treno poteva essere l’unica cosa che coprisse i loro passi sul brecciolino. I loro passi infatti appena usciti dal gabbiotto e arrivati sul selciato davano inizio ad un coro d’ululati e latrati che i cani di guardia non aspettavano a far mancare ad ogni tentativo di fuga. Passarono due ore rannicchiati al freddo e con un’umidità che faceva battere i denti. Fatte le sei, il sole cominciava a rischiarare l’orizzonte tutto intorno al deposito, e loro preso il coraggio a due mani attaccarono a correre verso il cancellone del canile per scavalcarlo il più velocemente possibile. Balzati dall’ altro lato della barriera architettonica, si apprestarono ad attraversare la via del Mare saltando il Guard Rail con un balzo. Si intrufolarono nel canneto dall’altro lato della strada per togliersi dalla vista delle automobili di passaggio, anche perché con la luce individuarli era diventato molto più semplice. Passate le canne e i rovi, dall’altra parte si stendeva in tutta la sua lunghezza la corsia ciclabile. Pensavano che ormai raggiunta quella avessero quasi toccato con un dito la libertà, quando la loro soddisfazione fu brutalmente distrutta dall’avvicinarsi repentino degli abbaglianti di una macchina che correva sfrecciando lungo il tragitto ciclabile. Si gettarono senza starci a pensare tra il canneto alla loro destra, quella che stava passando di corsa era una delle vetture che li stava ancora cercando, non potevano crederci, non era possibile! Questa situazione gli fece abbandonare la speranza di tornare alla macchina, era completamente esposta al controllo costante del Security Service, così decisero di dirigersi a piedi verso viale Europa e da lì chiamare un taxi. Dopo un lungo camminare, approdarono alla più vicina cabina telefonica, i loro documenti, telefoni, soldi e chiavi erano stati lasciati custoditi in macchina e di conseguenza adesso per loro erano irraggiungibili. Chiamarono il taxi con l’intenzione di passare dalla macchina e vedere la situazione, nel caso non fosse stata delle più gradevoli avrebbero optato per dirigersi verso casa di lui, perché la più vicina e dove avrebbe svegliato il fratello per farsi aprire e prestare i soldi per il tassista. Procedevano lungo la via del Mare quando arrivati in prossimità dell’auto si accorsero che questa era completamente circondata da divise e cappelli, niente da fare quindi bisognava dirigersi verso casa. Il fratello di lui all’ascolto del racconto e finito di pagare il tassista non potè che farsi sfuggire un’espressione di sconforto e tristezza per il fratello maggiore. L’altro silenziosamente abbassò lo sguardo e proseguì verso la sua stanza con l’amico per prendersi un po’ di meritato riposo. Fortunatamente i genitori erano partiti in quell’occasione e così riuscì ad evitarsi almeno quelli loro di sguardi. A pranzo una volta svegliati, con l’amico al seguito presero la macchina della madre per andare a recuperare l’altra lasciata incustodita da tutta la notte, ma non si aspettavano che anche questa semplice azione si sarebbe rivelata più complicata del normale.
Arrivati di nuovo alla macchina parcheggiata, la scena che gli si presentava davanti gli occhi era la stessa della mattinata solamente amplificata, se prima là intorno c’erano tre guardie adesso le guardie erano diventate sette e tra l’altro discutevano anche molto animatamente tanto che i due scoraggiati decisero di ritentare più tardi. Verso le quattro del pomeriggio la situazione sembrava essersi calmata finalmente, ma quella che gli si mostrava sotto gli occhi attenti era solamente un’illusione. Accostata la macchina ancora accesa alla vettura parcheggiata e di corsa aperta la portiera, il padrone si diresse verso la sua auto, ma lo spettacolo che gli si presentava davanti gli occhi increduli non era dei più soddisfacenti, la vettura era stata completamente danneggiata, le luci con gli stop erano scoppiati a suon di calci, tutte le fiancate con cofano e portellone rigate pesantemente con un mazzo di chiavi, la serratura scardinata e aperta la portiera dal cruscotto erano stati prelevati novecento euro che il nostro amico aveva furbamente pensato di lasciare lì per non portarseli dietro, i documenti con i nomi e indirizzi erano stai rovistati e come se non bastasse avevano trovato l’unico spray superstite alla nottata. Mentre stava smaddonnando ad alta voce e sbraitava contro le forze dell’ordine venne accostato da uno dei metronotte che come per magia sbucò dal nulla, nascosto in un cespuglio e lasciato là da qualche parte in attesa che il padrone della Golf fosse tornato indietro. Quest’ultimo avvicinatosi con fare furtivo una volta raggiunto il ragazzo che imprecava commentò – Certo che je avete fatto rode r culo forte sta notte, eh? – ed aggiunse – non so mica che avete combinato, ma ve consijo de pijavve la robba vostra alla svelta e de filà, anche perché se me dovessero vedemme qui co voi me fate passà n guaio pure a me e ve lo dico da amico… Questi non ve vojono denuncià o che, questi ve pistano proprio, quindi sbrigative, dateve e pure de corsa!- Il ragazzo, incredulo dell’accaduto, senza emettere verbo acciuffò tutta la roba che rimaneva da prendere, scattò di nuovo sul sedile in macchina con l’altro e se la diedero a tutta birra.
-        Sti fiji de na mignotta! Mortacci loro e de sti pezzi demmerda! –
-        Porca puttana, n sai quanto me dispiace… -
-        Dimmelo a me, mò che je dico a mi padre, che palle! –
-        Poi mò come te la vai a riprenne? –
-        Cor caroattrezzi pefforza, so pure artri sordi… Lascia perde non vojo sta a parlà de soldi… -
Tornato ancora una volta dal fratello minore, escogitarono un racconto tale che potesse reggere nel qual caso avesse dovuto anche giustificarsi con Carabinieri o Polizia, perché da come si erano messe le cose, tutto lasciava presagire che ci sarebbero stati ancora non pochi ostacoli per portare in salvo la macchina verso casa, o almeno quel che ne restava. Chiamato il carroattrezzi e fattosi venire a prendere, si diresse verso il parcheggio dando di svolta in svolta le indicazioni per raggiungere la vettura disastrata. Raggiunta la via del Mare in un battibaleno furono prima accostati e poi seguiti da una volante del Security Service che non si dimenticò di chiamare anche i Carabinieri. Sceso dal carro, quindi iniziò immediatamente un fantastico racconto \ episodio di lui ubriaco diretto ad Ostia per andare in un locale a ballare col fratello, che però preoccupato per le sue condizioni lo costrinse ad abbandonare la macchina per sicurezza sua e stradale e a proseguire il viaggio con lui nella sua vettura. Nessuno crebbe a quella storia, ma in ogni caso nessuno poteva dire con certezza che fosse stato lui uno dei due fuggiaschi nella notte. Contestò anche il fatto che il metronotte sapesse cosa ci fosse all’interno della sua Golf, quando in realtà ne sarebbe dovuto essere all’oscuro. Chi aveva danneggiato l’auto in quel modo? Quale poteva essere la ragione per la quale un’automobile venisse distrutta in quella maniera, lasciata semplicemente parcheggiata in un luogo per una notte? Dopo una lunga discussione, venne fatto andar via e gli fu permesso di riportare indietro il rottame. I genitori tornarono la sera stessa più tardi e furono costretti ancora una volta a dover sottostare ad una lunga serie di scuse e giustificazioni. Il rischio per la salute, la fedina penale, i soldi, la macchina, lo spavento, la costante ansia in cui li faceva vivere, tutti i tasti vennero toccati come sempre. Ancora una volta era tornato a casa sano e salvo, ma la macchina non poteva dire lo stesso, ancora una volta i danni furono tanti e ancora una volta le ripercussioni si sarebbero fatte sentire a lungo raggio.

domenica 24 novembre 2013

É Tutto a Posto. Capitolo Otto. Compagni per una Notte.




- ‘O sai che m’hai popo rotto ‘r cazzo! -
- De che? -
- De tutte ste telefonate, de tutti sti conti, de sti sordi, de tutti l’impicci che fai e dello stronzo che sei! -
- ‘N te ce mette pure te mò però! -
- Hai rotto r cazzo! ‘N gliela faccio più a vedette così, stai sempre imparanoiato, fai solo conti e parli solo de sordi, basta cazzo! -
- Ma che devo fa, me mancano dei soldi, ho fatto quarche cazzata, mò se rimedia, damme r tempo, però… -
- Me pare d’esse tornata a quanno te cercava quer mezzo zingaro cattivo -
- Hahaha, te ricordi che tajo! -
- Ma che tajo, n se sa che ansia, no che tajo! -
- Che telefonava a casa e non sapeva che c’ho n fratello, je rispondeva lui e se credeva che ero io che lo cojonavo… hahahaha! Poraccio mio fratello n se sa le minaccie che je diceva… -
- Hahhaha… E’ vero me l’ero scordata sta cosa! Uahuhauhuaua! -
- Comunque non so più che fa, questi me stanno pure a venì a cercà sotto casa, mi madre m’ha detto che m’è venuto a cercà qualcuno e che sto quarcuno non j’è piaciuto pe niente ar citofono, non j’ha manco voluto dì r nome, dice n’amico, ‘cci loro! Pezzi demmerda, pe n ritardo de n poco più de mille euro! Co tutti li sordi che j’ho sempre portato, bastardi! -
- Lo sai come so fatti quelli, finchè ungi bene, poi come stai n’attimo a secco, boom! Come niente te li ritrovi sotto casa! –
- ‘R problema è che non me stanno più a fa lavorà come prima… -
- E ce credo, pe come te stai a comportà, ringrazia Dio che ancora cammini co le gambe tue…-
- Esagerata! Mò pe n periodo che gira n po’ così… -
- Non è ‘r periodo, sei te che sei n po’ così… “sto periodo”! –
- Pure te c’hai ragione, quanno inizio a fumà, me vorei mette le manette e legame ar termosifone, cazzo! –
- Vai fori de testa, non te se po’ più guarda! –
- Me sà che dice bene Marco, l’artra vorta m’ha detto che come l’ho fatti inizià a fumà tutti io, j’ho fatto pure passà ‘a voja a tutti quanti! – Sì, me sa che r quadro lo riassume alla perfezione, vedi che se pure Marco te sta a dì ‘na cosa der genere, me sa che allora stai messo peggio de quello che fai vede… -
- Ma che stai a dì, lo sai che pe te so cristallino… -
- Sì, giusto cristallino… -
- Ma che scherzi! –
- Scherzo, scherzo, comunque ‘n va bene così… -
- Lo so, lo so che ‘n va pe niente bene, non me lo dì a me… -
- No, ‘nvece lo dico proprio a te! –
Passavano i giorni e la situazione non faceva che precipitare, i pensieri lo gravavano parecchio ed ogni sera per evadere da un peso che lo accompagnava costantemente durante il giorno, tornava a commettere sempre lo stesso errore. Ogni sera cucchiaio, bicarbonato e si ripartiva sempre da capo, la sostanza friggeva nuda bagnata sulla superficie d’acciaio cromato del cucchiaio che sotto il fuoco della fiamma non poteva far altro che annerirsi. La macchia di nero sui cucchiai di casa era un qualcosa di indelebile, il solo guardarla lo faceva sentire proprio come quel cucchiaio, nero sporco e macchiato con un qualcosa di indelebile, un sapore indimenticabile in bocca che ti accompagna per tutta la vita. Delle volte durante la giornata gli saliva da dentro uno schiocco di tosse che gli faceva tornare in bocca quel sapore di plastica dolciastra che ti lascia la cocaina sulla lingua e sui denti, denti che pian piano risentono delle sostanze chimiche di cui è bagnata e tagliata la polvere bianca sudamericana, denti che si piegano e poi spezzano sotto il costante effetto della densa nuvola malsana che soffi fuori.
Claudia era sempre più stanca e sottoposta ad un continuo forcing mentale e fisico, lui la faceva preoccupare e lei lentamente iniziava a non vedere più un’uscita possibile. Le continue scuse, i continui ritardi i continui rinvii d’impegno la facevano soffrire, ed iniziava a risentire molto di quel logoramento interiore. Tante volte la sera cercava di dissuaderlo da quella catena di montaggio che metteva su ogni qual volta si poteva un momento sedere su una sedia in una camera con la porta chiusa. Gli atteggiamenti di lui, durante la fase di cottura e soprattutto postumi a quella, iniziavano a diventare seriamente preoccupanti, era in costante frenesia, non riusciva e tenere gambe e mani immobili tremavano vistosamente, anche le sue capacità verbali risentivano parecchio dell’effetto della sostanza, quasi era  costretto a smettere di parlare tanto gli tremava la voce, senza poi elencare le innumerevoli volte in cui si convinceva che ci fosse qualcun altro dentro casa o addirittura dietro la porta che origliava, guardava fuori dalla finestra per paura che la polizia potesse arrivare in qualsiasi momento, si accasciava a cercare per terra pezzi di cocaina cotta persa durante il corso della notte anche se di cocaina non ne fosse mai caduta una singola briciola. Il tutto iniziava ad essere seriamente preoccupante ed imbarazzante in altre situazioni, la discesa imboccata era scoscesa e ripida ed era difficilmente possibile invertire la direzione di marcia.
Lui di tutto ciò, si rendeva conto solamente appena l’effetto della giostra mortale scendeva, appena finito il giro si guardava allo specchio e si chiedeva cosa mai stesse succedendo e perché mai non la smettesse, ma ogni sera si andava a cercare un nuovo compagno di giochi e la partita aveva di nuovo inizio. Molte delle volte si accollava anche personaggi che non gli erano assolutamente congeniali e li incastrava offrendo loro serate ai limiti del possibile che con le loro semplici finanze non si sarebbero mai potuti permettere. Poi ad un tratto quando le rocce rimaste iniziavano a scarseggiare, percepiva un reale distacco da chi in quel momento si trovava con lui e pensava perché mai? Perché mai? Il rimorso era forte in quegli istanti, il rimorso per le sue azioni, il rimorso per come la sua faccia gli appariva di fronte allo specchio, ma col tempo invece che decidere di smettere di continuare, aveva iniziato ad ignorare quel rimorso che lo faceva stare così male, durante quello star già male per la fine della sostanza non era buono starsi anche a commiserare per come ci si era ridotti.
Le dinamiche di ragionamento venivano sempre più spesso intaccate, smussate e poi stravolte, ormai il male di cui viveva era tale che per lui esisteva e basta ed era impensabile credere che quel male sarebbe dovuto cessare per una propria scelta.
Quella sera dopo essere uscito da casa di Claudia, come al solito era sceso verso Trastevere, S.Calisto, Vicolo del Bologna, Vicolo del Cinque e Piazza della Scala, il tour delle viette e vicoli si svolgeva come del resto quasi tutte le sere.
Durante questo periodo il solo anche girare per Trastevere ad ogni modo non lo faceva stare un gran che bene, lo stavano cercando e bastava solo questo pensiero per non farlo stare tranquillo, sapevano tutti quanti dove potessero trovarlo e di certo se non si fosse sbrigato a sistemare le cose prima o poi avrebbe fatto l’incontro che tanto non voleva fare. Quella sera non incontrò nessuno in particolare ma non aveva voglia di rientrare a casa a fumare così rimase in giro da solo a  bere saltando da un bar ad un altro. Si erano fatte quasi le tre di notte ed il S.Calisto era chiuso da un pezzo, era tornato verso la macchina che era parcheggiata in piazza perché anche “Il Bruschettaro” ultimo baluardo trasteverino stava per chiudere. Pippava le ultime botte di cocaina che gli erano rimaste stando seduto in macchina con un po’ di musica accesa, mentre se ne stava lì seduto in disparte passarono studentesse americane che avevano preso un appartamento in affitto da quelle parti proprio vicino la Lungara, trovandosi non molto distante dall’università americana. Non si accorsero sedendosi sul cofano della sua auto che lui stava piegato all’interno e quando si rialzò i loro sguardi si incrociarono, le ragazze ubriache attaccarono subito bottone e avvistando immediatamente le strisce bianche che risaltavano sul nero lucente del libretto delle istruzioni della macchina, non ci misero tanto a chiedere se avesse potuto fargli assaggiare quello che anche lui stava gradendo. Una dopo l’altra si piegarono sul sedile avvicinando la banconota arrotolata alla narice. Nello stesso istante in cui si svolgeva tutto ciò stava passando di là un altro ragazzo sulla trentina che notò subito il movimento e venne a chiedere se si poteva offrire qualcosa anche a lui. Lui gli spiegò immediatamente che purtroppo sarebbe dovuto arrivare un frazione di secondo prima per essere in tempo e che quindi sfortunatamente per lui non si poteva fare più niente.
La cocaina mischiata all’alchool lo faceva parlare molto e gli dava grande sicurezza, in quei momenti infatti diventava socievole anche con chi non lo sarebbe mai stato in altra situazione.
Il ragazzo chiese se lui sapesse per caso dove rimediare qualcos’altro, ma per un motivo o per un altro quella sera non gli riuscì di inventarsi niente di nuovo, l’altro così azzardò l’ipotesi di arrivare a Tor Bella Monaca visto che avevano l’auto, senza neanche ragionare per un secondo acconsentì immediatamente, liquidò le americane per cui secondo lui già avevano scroccato abbastanza per la serata ed in men che non si dica era in macchina con il primo sconosciuto raccattato per strada diretto chissà dove e chissà da chi a Tor Bella Monaca.




La macchina prendeva il raccordo, l’asfalto scivolava sotto i copertoni caldi della Golf, la strada era vuota e le prime luci dell’alba sembravano apparire dietro il disegno frastagliato degli alberi e colli all’orizzonte. L’altro indicava con cura l’uscita e le svolte da prendere e con il tempo che la sua lucidità raccattata al momento gli concesse riuscirono ad arrivare in borgata. Parcheggiavano l’automobile sotto il palazzone che gli si affacciava davanti, il bottone dell’antifurto una volta premuto fece fischiare l’auto accompagnando con la luce rossa sparata dagli stop le loro ombre che silenziose e furtive sembravano arrampicarsi sulla facciata di quella costruzione grigia e buia.
-        Te lo dico fa parlà a me che sta tipa e na zingara mezza ‘mpazzita! Sta mezza de fori dalle paranoie, comunque mò vedrai te  in che casa te sto a portà quindi me raccomando… -
-        Vabbè ok, ho capito ma manco m’hai detto come dovemo fa coi soldi, quanto vole questa? Te poi mica t’ho capito, ma ce l’hai qualche soldo? –
-        Ma io sto co ‘na decina de euri, ma comunque a me me conosce poi se te c’hai n po’ da spenne magari a me ce pensa lei… -
-        Se, se ho capito va… -
-        Ma che stai a scherzà? Guarda che a me po esse che mica me devi offrì niente, poi comunque dai che alla fine la dritta è mia, sennò rimanevi a piedi, no? –
-        Se, se giusto a piedi, daje salimo da questa và, vedemo de dasse ‘na mossa… -
Con il viaggio in auto gli era tornata un po’ di lucidità, quel poco che bastava per fargli pensare a la cazzata che stava facendo, ma d’altro canto ormai era arrivato sin qui e adesso non poteva di certo tornare in dietro a mani vuote.
Salirono queste scale anguste, zozze, su ogni gradino c’era almeno un dito di lerciume, misto a carte di caramelle e pacchetti di sigarette vuoti. Si fermarono di fronte ad una porta d’appartamento, la particolarità era che prima della porta, ossia nell’immediato spazio che la precedeva, era stato montato un cancellone in acciaio battuto con un spioncino, simile a quelli della farmacia notturna. I due bussarono ed aspettarono. Non si sentiva niente che venisse dall’interno della casa.
-        Ma che m’hai fatto venì fino qua e mò questa magari sta a dormì? –
-        Ma de che questa non dorme mai, aspè… -
-        E aspettamo… -
Ribussarono. Ribussarono ancora. Niente. Dall’appartamento non veniva fuori nessuno, e non si sentiva nient’altro che il vento che soffiava tra gli alberi fuori dal palazzo.
-        Senti, ‘namosene và, ch’è mejo! –
-        Aspè, aspè… -
-        Daje, basta accanna co sta cosa che qua magari ce se stranisce pure quarcuno, mica no… -
-        Te dico ‘spè, daje bono n’attimo… -
Si era stancato, ed iniziava a pensare che forse fosse anche meglio così, stava per rimboccare la tromba delle scale, quando un mugugno arrivò alle loro orecchie attente da dietro, l’acciaio e la porta.
-        Sò io, ahò sò io!- Il ragazzo bisbigliò poggiandosi con le braccia tra le fessure del cancello.
La porta finalmente si aprì. Un fiotto di aria calda investì i due che stavano ancora in piedi su quel pianerottolo freddo e buio. La luce inondò il pavimento sotto i loro piedi e nel mentre disegnò una sagoma nera sulla parete opposta a quella dell’ingresso che gli si era offerto, la sagoma era di una donna dall’età indefinita.
La signora, per così dire, era magrissima, le sue guancie erano completamente scomparse sotto l’influsso del tempo passato a succhiare penne a sfera, i capelli grigi e bianchi scendeva sul suo collo secco e rugoso, i tendini del collo erano ben visibili, perché di tanto in tanto si tendevano quasi allo spasmo, sembrava quasi si potessero spezzare da un momento all’altro. In dosso portava una di quelle vesti da signora anziana e casalinga, tanto che sopra ci aveva abbinato un grembiule da cucina allacciato in vita. Ai piedi portava delle ciabatte del mercato, di quelle con lo strappo sopra, come portavano i bambini negli anni ’80 e ’90. Sembrava effettivamente uscita da una frattura del continuum spaziotemporale, era molto stile Amore Tossico di Caligari, tanto per fare un esempio.
Il ragazzo confabulò qualcosa con la padrona di casa, poi si girò verso l’altro e tese la mano in segno di pagamento, l’altro con un cenno della testa e una lanciata di sguardo fece a capire se andava tutto bene e l’altro abbassò il capo in segno d’affermazione. I soldi passavano adesso di mano in mano fino a che non si infilarono nello spioncino e vennero scambiati con delle pallettine di plastica bianca.
Conclusa la transazione, scendevano le scale e tornavano in macchina.
-        Hai visto che era tutto ok? –
-        Tutto ok, tuto ok… - Ripetè l’altro in modo sarcastico.
-        Che c’è che non va? –
-        Niente, niente stavo a giocà, ‘nnamò ‘n macchina così sbragamo sta cosa e se ne potemo ‘nnà tuti a casa, daje n po’… -
-        Ma che vai de fretta mò? Famme capì… -
-        Più che altro è quasi giorno, vivo dall’altra parte de Roma e ancora stamo co sta cosa n mano che demo ancora solo inizià de scartalla, sai se se arzano i miei quelli chiamano e non me va de stalli a sentì pure oggi, speravo che facevamo prima, ma vabbè comunque lascia sta che tanto non sò cazzi tua… -
-        Daje che ce pensi dopo ai tuoi, mò assaggiamose sta cosa và ch’è ‘na cifra bona, mò vedi… -
-        Se, se… -
Montati in macchina i preparativi iniziarono nuovamente come sempre, schede alla mano, banconote nell’altra e via.
Pippavano e chiacchieravano, chiacchieravano e pippavano e all’incirca in un’oretta la condensa, che si era formata sui finestrini della vettura che li confortava, aveva fatto sì che i loro volti diventassero invisibili per le prime finestre che si iniziavano ad accendere là intorno e per i primi passanti che si piegavano all’aria gelida delle prime luci dell’alba. Finita la storia, i due si guardarono e senza neanche farlo a posta avevano già deciso di spostare di nuovo la macchina per tornare nuovamente sotto casa alla gentile presenza che li aveva accolti prima con tanto amore. Salirono di corsa ancora quelle scalaccie e si trovarono ancora di fronte lo spioncino, bussarono e questa volta la misteriosa e silenziosa presenza non tardò ad aprire addirittura invitandoli all’interno.
All’interno la situazione era non meno grottesca di come potesse apparire da fuori, l’appartamento era una sorta di monolocale con angolo cottura e lettone matrimoniale in mezzo alla stanza, in un angoletto dello stanzone era sistemato un tavolinetto decrepito, tra i più rimediati mai visti prima, talmente era storto che solo con la scoliosi avresti potuto finire un pasto seduto lì senza troppi dolori. Le pareti erano adorne di una carta da parati risalente grosso modo al paleolitico inferiore, sembrava di intravederci anche delle forme di graffitismo preistorico, figure ed immagini di caccia si accavallavano nella mente di lui mentre viveva quella situazione nata come per incanto da un incontro più che casuale. Sopra il letto a due piazze mille pallette di plastica buttate alla rinfusa ricoprivano buona parte della superficie del piumone da letto, inutile dire che la signora sul comodino aveva inoltre pronta una bottiglietta d’acqua appena modificata pronta a sostituire quella vecchia che gli stava accanto, era talmente nuova quella bottiglietta che quasi stonava con tutto il resto dell’appartamento, soprattutto con la padrona. Alla domanda del padrone di casa su quanto volessero i due risposero comprando altre due saccocciate, identiche per forma e peso alle precedenti, che consumarono fumandole insieme alla padrona di casa in men che non si dica.
Dopo circa tre quarti d’ora erano di nuovo pronti con le giacche adosso per scendere le scale e risalire in macchina scendendo in un silenzio quasi clericale.
-        Senti, ma te ‘n do abiti? ‘N do voi che te lascio? –
-        Ma a me credo che vada bene se me accanni al MacDonald sur raccordo… C’hai presente quello che sta verso l’Ardeatina? –
-        Sì, certo che ce l’ho presente, dico ma sei sicuro che voj che te accanno proprio là? –
-        Sì, perché che c’è de strano? –
-        Boh, che ne so me pare n posto n po’ der cazzo, no? –
-        No, no che me faccio venì a prende da qualcuno… -
-        Vabbè, se pe te va bene… Fa come te pare, io ‘n do me dici te lascio, anzi ch’è pure de strada, da paura! –
La strada fatta all’andata veniva ripercorsa minuziosamente al ritorno. Il viaggio fu accompagnato dalla radio che parlava senza che nessuno l’ascoltasse e da loro che non spiccicarono verbo sino al momento dei saluti. Come l’aveva raccattato, adesso lo faceva scendere da l’auto. Per una sera era come se fossero stati migliori amici da lunghi anni, in realtà nè a uno, né all’altro poteva fregare di meno del compagno. Durante tutto il corso della nottata non si erano mai chiamati neanche per nome, non aveva assolutamente importanza per entrambi. La macchina si riimmetteva nella corsia e proseguiva verso Roma sud-ovest. La figura di quel losco personaggio diventava sempre più piccola riflessa nello specchietto retrovisore che buttava uno sguardo alle sue spalle. Tornava verso casa, ma non voleva tornarci in realtà, era venerdì ed erano tutti svegli ed alzati impegnati nelle loro faccende di casa, lui invece faceva schifo, era impresentabile. Si accostò in un parcheggio nelle vicinanze di casa sua sbragò il sedile e chiuse gli occhi, quando li riaprì era di nuovo sera e faceva freddo da morire. Il cellulare senza suoneria aveva squillato tutto il giorno senza risposta. Scosse la testa in segno di negazione guardandosi nello specchietto retrovisore del parabrezza, si guardava e si chiedeva come mai, poi capì che forse era meglio non chiedere troppo, riaccese il motore, sgasò e questa volta diresse verso casa veramente.

lunedì 18 novembre 2013

XX ROMA - La Roma dei Writers dalla Preistoria all' Età Contemporanea.


Scrivo oggi di un blog di cui, se sei un writer italiano e in special modo romano, non puoi assolutamente farne a meno, non perchè per essere un writer si abbia bisogno di una qualche nozione scientifica ma perchè un pò di storia non ha mai fatto male a nessuno. 
Io oltre ad essere un grande amante del writing, sono anche un grande appassionato di fumetti e nel momento in cui mi pongo dinanzi al lavoro certosino che offre il blog di cui sto parlando non può far altro che venirmi in mente l'immagine di "Uatu l'Osservatore"


Uatu rappresentato su una copertina dei Fantastici Quattro.

Ora vi spiego Uatu chi è, ebbene costui, dalla testa molto grande, è un'entità superiore con il solo ed unico compito di osservare e testimoniare tutto ciò che avviene all'interno del suo universo, quindi nel momento in cui penso al lavoro, agli anni, a tutte le foto scattate e alle ore passante lungo un binario ed in piedi su una banchina che il curatore di XX ROMA ha passato e vissuto, il paragone nasce spontaneo.
All'interno del blog è ricostruita tutta la storia cronologica del writing a Roma, dagli albori e fasti degli anni '90 sino al giorno d'oggi,.condita con una miriade di foto e con l'aiuto e testimonianze di molti dei writer più eminenti della capitale, d'italia e del globo intero.
L'archivio di immagini, foto e treni è impressionante, si viene colpiti da un mare di colore e vernice spray utilizzati per disegnare e colorare alcuni dei lavori più famosi e ancora vivi nel ricordo di tanti writer italiani, gli articoli che vengono offertici sono scritti da alcune delle più famose firme di tutti i tempi, poi se si è legati a Roma in particolare l'odissea che si può vivere navigando all'interno del blog è ancora più avvincente, il lavoro che sta dietro a tutto ciò è chiaramente il frutto di una vita passata tra vagoni, tintinnii di bombolette e pennarelli. Il nostrano Uatu con la bomboletta in mano è riuscito a raggiungere una tale perfezione nello scandire il passare del tempo ch'è corso lungo la linea tortuosa dei binari romani che nell'ultimo periodo si è addirittura cimentato in un'attività unica e totalmente fuori dal comune, è riuscito a dar vita a tutte quelle sue foto accatastate in album nascosti dentro casa, ossia con l'aiuto della tecnologia oggi offertaci è riuscito a mostrarci come determinate carrozze di alcuni convogli siano cambiate sotto l'azione costante dei tanti writer passati su di loro.



.Uno dei filmati di cui parlato sopra.

C'è chi sostiene il "writing" sia arte, c'è chi sostiene questo sia vandalismo, io qui oggi non intendo stare ad approfondire il dibattito, il mio articolo vuole solamente ed intende spezzare una lancia in favore di chi della propria passione riesce quasi o totalmente a farne un mestiere e di chi riesce a far partecipe del proprio amore molti che in realtà ne resterebbero estranei. Come Tacito e Cornelio nella Roma antica, XX ROMA racconta una storia, la storia di un fenomeno nato verso la fine dei '70 e inizi '80 in America e continuato sui sanpietrini della città eterna, offre più di uno spaccato, offre praticamente l'intero avvicendarsi di crew e "vandali" che hanno solcato le lamiere un tempo grigie dei treni della metropolitana romana, un qualcosa iniziato negli anni 90 e che oggi ancora vive e continua...
                                                                                                                           Joey Pooch


Link:
http://xxroma20.blogspot.it/  La home page di XX ROMA
http://xxroma20.blogspot.it/2012/07/il-vento-cambia.html  Uno degli articoli che più mi ha colpito...hehehe




domenica 17 novembre 2013

É Tutto a Posto.

Capitolo Sette.

Palazzetti & Rave.


Guardava dritto davanti a se, poggiato con i gomiti sul davanzale del suo balcone, il sole splendeva alto nel cielo, era una bella giornata, di nuvole non se ne vedeva nemmeno l’ombra, almeno di nuvole in cielo perché di nuvole che ottenebrassero la sua mente e pensieri all’orizzonte se ne vedevano molte. Il pensiero del suo portafoglio in giro chissà dove non lo faceva stare bene, si chiedeva continuamente chi mai l’avesse trovato e sperava ardentemente che chi l’avesse trovato avesse scambiato la ketamina al suo interno per cocaina e che adesso gli fosse preso un accidente, un accidente innocuo, più che altro almeno una bella mezz’ora di spavento. A casa era solo aspettava che sua madre e suo fratello tornassero dal lavoro. La mattina stava bene a casa proprio perché non c’era nessun’altro, non che avesse niente contro il resto della famiglia, ma forse era il resto della famiglia che evidentemente non sosteneva più il ritmo delle sue stronzate continue. Sua madre non faceva altro che ripetergli “ Quand’è che la finisci? Quand’è che smetterai? Ancora non ne hai abbastanza?”… Questa parole non facevano che risuonargli in testa da un orecchio all’altro, ne era esausto ma sapeva anche benissimo che non era assolutamente ancora abbastanza e di conseguenza sarebbe dovuto ancora sottostare per molto a questo forcing ammorbante. In realtà l’unico vero morbo per la serenità del nucleo famigliare era lui e ne era completamente consapevole. Dall’episodio dei cerchioni in lega erano passate settimane e la situazione economica ristagnava in un continuo indebitarsi da uno spacciatore all’altro per coprire i danni che continuava a fare e che non era più bene in  grado di coprire. La sua credibilità come trafficante veniva offuscata dal suo aspetto sempre più emaciato e dai racconti che venivano sempre più spesso fuori. Roma per quanto grande è sempre un paese e una notizia o racconto che sia che fa scalpore non fa altro che passare di bocca in orecchio, da orecchio in bocca con il risultato che la realtà da principio viene completamente stravolta con situazioni sempre più paradossali e numeri sempre più grandi, quindi nell’arco di poco tempo va a finire che tutti sanno tutto di te e che in realtà non sanno niente di niente.
Ripensava tante volte a come avesse cominciato tutto quanto, la prima canna che si fece durante un’occupazione a Monteverde nel liceo classico Manara e da lì iniziò subito a rifornire di spinelli quei pochi bambini che fumavano canne alle medie nella scuola dove andava, non si trattava assolutamente di spaccio era più che altro un favore che faceva a quelli che desideravano fumo e che non sapevano dove procurarselo, fumavano canne tutti quanti insieme. Finite le medie proseguì gli studi andandosi a segnare in quel liceo dove tutto forse ebbe inizio, non perché lì avesse trovato canne ma perché voleva allontanarsi dal suo quartiere di periferia per spostarsi in uno più centrale e poi quello era anche il liceo di suo padre.
In quella scuola stravolse completamente tutte le sue amicizie, le persone con cui aveva affrontato gli anni delle elementari e medie vennero completamente tralasciate, quasi scordate, sostituite da quella ciurma di personaggi con cui iniziò poi a fare graffiti ed altro.
La sega a scuola che non aveva mai sperimentato durante gli anni delle medie per gli anni delle superiori divenne un “Must”, le mattine che la scuola veniva marinata erano innumerevoli rispetto a quelle in cui si entrava sino al punto in cui poi si andasse a rischiare la bocciatura, cosa che infatti in seguito non si fece mancare.
La mattine spesso venivano occupate con l’attività più redditizia che avessero inventato, almeno durante i primi due anni di ginnasio, ed era qualcosa di veramente geniale e perverso, si andava tutti insieme a fare i così detti “Palazzetti”.



L’attività dei palazzetti era scaturita dalla possibilità di potersi travestire da scout della chiesa, visto che molti dei suoi nuovi amici avevano militano tra le loro fila per così dire, quindi ci si metteva un cravattone verde e giallo intorno al collo e si entrava in chiesa per andare a rubare più opuscoli e foglietti possibili perché da lì a breve ci si sarebbe introdotti all’interno di condomini per chiedere soldi porta a porta millantando di raccogliere donazioni in favore di missionari e poveri o quant’altro gli venisse in mente, ad ogni banconota ricevuta loro ricambiavano con un opuscolo che come sempre non centrava niente con l’argomento per cui dicevano di raccogliere denaro, poi il tutto veniva condito con una dose di sfregio e vandalismo becero.
Gli “sfregi” così definiti consistevano in una serie di azioni deplorevoli ma molto divertenti, se non altro per loro, si iniziava col pisciare e cagare a turno negli ascensori del palazzo, sotto natale invece, arrivati all’ultimo appartamento in successione tra i piani, dopo aver ricevuto i soldi dall’inquilino di turno, a quest’ultimo gli venivano sparati Magnum(botti di capodanno) all’interno della casa con lui ancora presente e incredulo  sulla porta aperta, inutile dire che la colluttazione scattava ogni volta; ma la cosa che lui preferiva era raccogliere dai pianerottoli i vasi e portarli all’ultimo piano per lanciarli dalla tromba delle scale, la cosa esilarante era che ovviamente poi bisognava riscendere e fare a botte con i coinquilini del pian terreno perché accorrevano fuori dalle abitazioni per via dell’incredibile boato e vedevano questa folla di bambini/ragazzi urlanti che correvano giù di corsa per le scale.
I palazzetti erano redditizi si guadagnavano soldi con cui poi si andava a comprare il fumo da usare durante tutto l’arco della mattina.
Da lì a breve si iniziò ad uscire il sabato sera ed ad andare a quelle feste dove erano sempre più spesso ospiti indesiderati, infatti spesso ci si doveva imbucare scalando un balcone o magari ricattando qualcuno che stava all’interno per farsi aprire il portone del palazzo e poi la porta. Erano indesiderati soprattutto perché poi all’interno dell’appartamento le azioni di cui si macchiavano andavano a seguire molto l’iter perverso dei palazzetti, si rubavano vestiti e videogiochi, si scriveva con i pennarelli sulle pareti dei salotti e camere, si otturavano vasche da bagno con carta igienica le quali venivano poi riempite di piscio e cacca, la lista degli sfregi era tra le più varie.
Lui e il suo gruppo di amici in quegli anni non erano affatto visti di buon occhio tanto che delle volte si andarono a rischiare anche denunce.
Durante quegli anni la scena dei rave romani era al suo apice, quelli erano gli anni della Fintech di Castel Romano, quindi poi passato il periodo delle feste in casa si passò al periodo delle feste illegali. Ogni fine settimana era costretto quasi a scappare di casa anche perché non si usavano ancora tanto i cellulari e così i suoi genitori lo perdevano di vista per un lasso di tempo molto lungo per un ragazzo di appena 14-15 anni. Ai rave iniziò il periodo delle droghe sintetiche acidi, Trip, anfetamine, Speed, MDMA e pasticche, questi erano gli ingredienti con cui condire il sabato sera e la domenica mattina. I rientri a casa la domenica a pranzo o nel primo pomeriggio erano degli impatti micidiali, il ritorno in società e il ritorno in famiglia era un qualcosa di veramente pesante, si ricordava le volte che dimenticava le chiavi di casa e di conseguenza non poteva sgattaiolare in camera a dormire di corsa e veniva la madre ad aprirgli la porta… “Guarda che faccia  che hai!, Guardati fai schifo!, Ma non ti vedi! Non ti si può guardare!, Dove sei stato!”… Il suono di quella voce e di quelle parole pensava che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Il rapporto con sua madre era sempre stato dei migliori, ma da quegli anni in poi si andò sempre più incrinando, anche se durante quelle stagioni e il periodo che ci riguarda più da vicino in realtà non avessero mai smesso di volersi bene e di riuscire a passare anche dei momenti di estrema serenità. Spesso capitava infatti che quando tutta la famiglia si riuniva insieme a tavola per alcuni istanti ci si dimenticasse di tutto il disastro alle spalle e si ritornava come d’incanto a quegli anni più spensierati. Per quanto le due parti siano divenute poi avverse, lui e la madre sono sempre stati veramente molto simili, il modo di parlare, il modo di scherzare e il modo di fare battute si somigliavano molto e del resto poi si poteva anche notare quanto lui fosse il ritratto sputato della madre al maschile con giusto qualche vizio in più.
Per quanto spericolato e infervorato nelle sua imprese malsane, non sopportava chi dei sui amici trattasse male i genitori in modi denigratori o chi addirittura li caricava di  tutte le cause dei loro mali, aveva sempre avuto una sorta di etica in cui sapeva che i suoi genitori avevano ogni qual volta ragione e di conseguenza difficilmente si permetteva di ribattere quando veniva sgridato, d’altro canto pensava che di sicuro erano loro a soffrirne in modo molto più evidente del suo, quindi non vedeva motivo per il quale dovesse anche stare a discutere di cose e cause di cui era il solo e unico fattore scatenante.
Gli episodi che i rave gli riportavano alla mente erano veramente innumerevoli, anche perché gli anni dei rave furono lunghi abbastanza e non passarono di moda così alla svelta, di sicuro lo accompagnarono per tutti gli anni delle superiori. Dai rave romani, si passò ai rave in giro per l’Italia, soprattutto al nord, poi l’estate e durante le feste natalizie con i capodanni si partiva anche per i Teknival all’estero e là le feste duravano anche settimane di filato, nascosti in capannoni abbandonati o in qualche valle riparati dal bosco, Spagna, Francia, Olanda, Inghilterra e Germania. Erano gli anni dell’InterRail, con pochi soldi ti facevi un biglietto per girare indisturbato in più aree dell’Europa pagando a prezzi ridotti quei treni che non erano completamente gratuiti, un po’ di soldi da parte dei genitori, un po’ li mettevi tu e si partiva carichi di Ketamina e spesso anche con pasticche e fumo. Ogni Teknival equivaleva ad una sosta con smercio di stupefacenti all’arrivo e durante e rifornimento di nuovo alla partenza, perché poi ti sarebbero serviti a sopravvivere durante il viaggio. Il rischio c’era, si passava molto spesso in tante stazioni ma lui in quel periodo preferiva vendere Ketamina proprio perché ancora non era classificata come stupefacente, quindi dal punto di vista legale non eri perseguibile, tutt’al più un foglio di possesso di farmaco senza ricetta.
Durante gli anni ’90 si stava sicuramente meglio, leggi meno pesanti e poi c’era ancora la Lira fedele compagna nei più bei ricordi di ogni italiano. Con in zaino una padella, un fornelletto da campeggio e qualche scheda telefonica per grattare(poi le schede italiane sono sempre state le migliori invidiate da tutti), ti potevi permettere una bella vacanzona di un mese in giro per il continente senza troppi pensieri. Spesso si dormiva per strada quando il luogo e il tempo lo permetteva, in ogni paese in cui entravi dovevi iniziare a rifarti tutti i conti per il cambio, tutto costava meno e tutti sapevano meno, i rave non erano visti ancora così tanto di cattivo occhio, i cellulari non erano rintracciabili e poi chi più ne ha più ne metta, di sicuro ci si poteva divertire più di quanto non lo si possa fare adesso, ma poi come tutto d’altro canto anche gli anni dei rave pian piano finirono, la scena si andava sempre più diradando e le persone dei rave che lui frequentava anche un po’ alla volta smisero sempre più di andarci e così dai rave poi si passò agli afterhours, discoteche e Crack.
In questa rapida successione d’eventi ricostruiva quella mattina il suo percorso legato al mondo della droga giovanile, tralasciando il fatto che intervallava il tutto con dei periodi di writing serrato come valvola di sfogo dalla droga. I periodi che decideva di allentare un po’ la presa dalle dipendenze si dedicava anima e corpo allo scrivere, ai treni, pennarelli, metropolitane e Roma.
Stava iniziando a tornare indietro con la mente ancora una volta quando un suono lo interruppe d’un tratto, la chiave stava girando e la porta di casa si stava aprendo, sua madre era tornata a casa come al solito per il loro pranzo tète a tète.
-        Ah mà? Sei te? –
-        No, è ‘a polizia! –
-        Ahahaha! E sì, ce mancano pure loro… -
-        E infatti tanto noi non ci facciamo mancare niente! –
-        Madò! Sei monotematica però… -
-        Ah, sarei io quella monotematica ve? –
-        Mmmmmm, che palle! Com’è andata oggi? –
-        Come ieri e l’artro ieri, invece te che hai fatto stamattina? Te sei appena alzato? –
-        No, veramente me sò alzato già da ‘n po’… -
-        E immagino che sarai stato in miniera, apparecchia va che io mi cambio, ho preso la carne. –
-        Bona! Vabbè, dai vado ad apparecchià… -.