domenica 24 novembre 2013

É Tutto a Posto. Capitolo Otto. Compagni per una Notte.




- ‘O sai che m’hai popo rotto ‘r cazzo! -
- De che? -
- De tutte ste telefonate, de tutti sti conti, de sti sordi, de tutti l’impicci che fai e dello stronzo che sei! -
- ‘N te ce mette pure te mò però! -
- Hai rotto r cazzo! ‘N gliela faccio più a vedette così, stai sempre imparanoiato, fai solo conti e parli solo de sordi, basta cazzo! -
- Ma che devo fa, me mancano dei soldi, ho fatto quarche cazzata, mò se rimedia, damme r tempo, però… -
- Me pare d’esse tornata a quanno te cercava quer mezzo zingaro cattivo -
- Hahaha, te ricordi che tajo! -
- Ma che tajo, n se sa che ansia, no che tajo! -
- Che telefonava a casa e non sapeva che c’ho n fratello, je rispondeva lui e se credeva che ero io che lo cojonavo… hahahaha! Poraccio mio fratello n se sa le minaccie che je diceva… -
- Hahhaha… E’ vero me l’ero scordata sta cosa! Uahuhauhuaua! -
- Comunque non so più che fa, questi me stanno pure a venì a cercà sotto casa, mi madre m’ha detto che m’è venuto a cercà qualcuno e che sto quarcuno non j’è piaciuto pe niente ar citofono, non j’ha manco voluto dì r nome, dice n’amico, ‘cci loro! Pezzi demmerda, pe n ritardo de n poco più de mille euro! Co tutti li sordi che j’ho sempre portato, bastardi! -
- Lo sai come so fatti quelli, finchè ungi bene, poi come stai n’attimo a secco, boom! Come niente te li ritrovi sotto casa! –
- ‘R problema è che non me stanno più a fa lavorà come prima… -
- E ce credo, pe come te stai a comportà, ringrazia Dio che ancora cammini co le gambe tue…-
- Esagerata! Mò pe n periodo che gira n po’ così… -
- Non è ‘r periodo, sei te che sei n po’ così… “sto periodo”! –
- Pure te c’hai ragione, quanno inizio a fumà, me vorei mette le manette e legame ar termosifone, cazzo! –
- Vai fori de testa, non te se po’ più guarda! –
- Me sà che dice bene Marco, l’artra vorta m’ha detto che come l’ho fatti inizià a fumà tutti io, j’ho fatto pure passà ‘a voja a tutti quanti! – Sì, me sa che r quadro lo riassume alla perfezione, vedi che se pure Marco te sta a dì ‘na cosa der genere, me sa che allora stai messo peggio de quello che fai vede… -
- Ma che stai a dì, lo sai che pe te so cristallino… -
- Sì, giusto cristallino… -
- Ma che scherzi! –
- Scherzo, scherzo, comunque ‘n va bene così… -
- Lo so, lo so che ‘n va pe niente bene, non me lo dì a me… -
- No, ‘nvece lo dico proprio a te! –
Passavano i giorni e la situazione non faceva che precipitare, i pensieri lo gravavano parecchio ed ogni sera per evadere da un peso che lo accompagnava costantemente durante il giorno, tornava a commettere sempre lo stesso errore. Ogni sera cucchiaio, bicarbonato e si ripartiva sempre da capo, la sostanza friggeva nuda bagnata sulla superficie d’acciaio cromato del cucchiaio che sotto il fuoco della fiamma non poteva far altro che annerirsi. La macchia di nero sui cucchiai di casa era un qualcosa di indelebile, il solo guardarla lo faceva sentire proprio come quel cucchiaio, nero sporco e macchiato con un qualcosa di indelebile, un sapore indimenticabile in bocca che ti accompagna per tutta la vita. Delle volte durante la giornata gli saliva da dentro uno schiocco di tosse che gli faceva tornare in bocca quel sapore di plastica dolciastra che ti lascia la cocaina sulla lingua e sui denti, denti che pian piano risentono delle sostanze chimiche di cui è bagnata e tagliata la polvere bianca sudamericana, denti che si piegano e poi spezzano sotto il costante effetto della densa nuvola malsana che soffi fuori.
Claudia era sempre più stanca e sottoposta ad un continuo forcing mentale e fisico, lui la faceva preoccupare e lei lentamente iniziava a non vedere più un’uscita possibile. Le continue scuse, i continui ritardi i continui rinvii d’impegno la facevano soffrire, ed iniziava a risentire molto di quel logoramento interiore. Tante volte la sera cercava di dissuaderlo da quella catena di montaggio che metteva su ogni qual volta si poteva un momento sedere su una sedia in una camera con la porta chiusa. Gli atteggiamenti di lui, durante la fase di cottura e soprattutto postumi a quella, iniziavano a diventare seriamente preoccupanti, era in costante frenesia, non riusciva e tenere gambe e mani immobili tremavano vistosamente, anche le sue capacità verbali risentivano parecchio dell’effetto della sostanza, quasi era  costretto a smettere di parlare tanto gli tremava la voce, senza poi elencare le innumerevoli volte in cui si convinceva che ci fosse qualcun altro dentro casa o addirittura dietro la porta che origliava, guardava fuori dalla finestra per paura che la polizia potesse arrivare in qualsiasi momento, si accasciava a cercare per terra pezzi di cocaina cotta persa durante il corso della notte anche se di cocaina non ne fosse mai caduta una singola briciola. Il tutto iniziava ad essere seriamente preoccupante ed imbarazzante in altre situazioni, la discesa imboccata era scoscesa e ripida ed era difficilmente possibile invertire la direzione di marcia.
Lui di tutto ciò, si rendeva conto solamente appena l’effetto della giostra mortale scendeva, appena finito il giro si guardava allo specchio e si chiedeva cosa mai stesse succedendo e perché mai non la smettesse, ma ogni sera si andava a cercare un nuovo compagno di giochi e la partita aveva di nuovo inizio. Molte delle volte si accollava anche personaggi che non gli erano assolutamente congeniali e li incastrava offrendo loro serate ai limiti del possibile che con le loro semplici finanze non si sarebbero mai potuti permettere. Poi ad un tratto quando le rocce rimaste iniziavano a scarseggiare, percepiva un reale distacco da chi in quel momento si trovava con lui e pensava perché mai? Perché mai? Il rimorso era forte in quegli istanti, il rimorso per le sue azioni, il rimorso per come la sua faccia gli appariva di fronte allo specchio, ma col tempo invece che decidere di smettere di continuare, aveva iniziato ad ignorare quel rimorso che lo faceva stare così male, durante quello star già male per la fine della sostanza non era buono starsi anche a commiserare per come ci si era ridotti.
Le dinamiche di ragionamento venivano sempre più spesso intaccate, smussate e poi stravolte, ormai il male di cui viveva era tale che per lui esisteva e basta ed era impensabile credere che quel male sarebbe dovuto cessare per una propria scelta.
Quella sera dopo essere uscito da casa di Claudia, come al solito era sceso verso Trastevere, S.Calisto, Vicolo del Bologna, Vicolo del Cinque e Piazza della Scala, il tour delle viette e vicoli si svolgeva come del resto quasi tutte le sere.
Durante questo periodo il solo anche girare per Trastevere ad ogni modo non lo faceva stare un gran che bene, lo stavano cercando e bastava solo questo pensiero per non farlo stare tranquillo, sapevano tutti quanti dove potessero trovarlo e di certo se non si fosse sbrigato a sistemare le cose prima o poi avrebbe fatto l’incontro che tanto non voleva fare. Quella sera non incontrò nessuno in particolare ma non aveva voglia di rientrare a casa a fumare così rimase in giro da solo a  bere saltando da un bar ad un altro. Si erano fatte quasi le tre di notte ed il S.Calisto era chiuso da un pezzo, era tornato verso la macchina che era parcheggiata in piazza perché anche “Il Bruschettaro” ultimo baluardo trasteverino stava per chiudere. Pippava le ultime botte di cocaina che gli erano rimaste stando seduto in macchina con un po’ di musica accesa, mentre se ne stava lì seduto in disparte passarono studentesse americane che avevano preso un appartamento in affitto da quelle parti proprio vicino la Lungara, trovandosi non molto distante dall’università americana. Non si accorsero sedendosi sul cofano della sua auto che lui stava piegato all’interno e quando si rialzò i loro sguardi si incrociarono, le ragazze ubriache attaccarono subito bottone e avvistando immediatamente le strisce bianche che risaltavano sul nero lucente del libretto delle istruzioni della macchina, non ci misero tanto a chiedere se avesse potuto fargli assaggiare quello che anche lui stava gradendo. Una dopo l’altra si piegarono sul sedile avvicinando la banconota arrotolata alla narice. Nello stesso istante in cui si svolgeva tutto ciò stava passando di là un altro ragazzo sulla trentina che notò subito il movimento e venne a chiedere se si poteva offrire qualcosa anche a lui. Lui gli spiegò immediatamente che purtroppo sarebbe dovuto arrivare un frazione di secondo prima per essere in tempo e che quindi sfortunatamente per lui non si poteva fare più niente.
La cocaina mischiata all’alchool lo faceva parlare molto e gli dava grande sicurezza, in quei momenti infatti diventava socievole anche con chi non lo sarebbe mai stato in altra situazione.
Il ragazzo chiese se lui sapesse per caso dove rimediare qualcos’altro, ma per un motivo o per un altro quella sera non gli riuscì di inventarsi niente di nuovo, l’altro così azzardò l’ipotesi di arrivare a Tor Bella Monaca visto che avevano l’auto, senza neanche ragionare per un secondo acconsentì immediatamente, liquidò le americane per cui secondo lui già avevano scroccato abbastanza per la serata ed in men che non si dica era in macchina con il primo sconosciuto raccattato per strada diretto chissà dove e chissà da chi a Tor Bella Monaca.




La macchina prendeva il raccordo, l’asfalto scivolava sotto i copertoni caldi della Golf, la strada era vuota e le prime luci dell’alba sembravano apparire dietro il disegno frastagliato degli alberi e colli all’orizzonte. L’altro indicava con cura l’uscita e le svolte da prendere e con il tempo che la sua lucidità raccattata al momento gli concesse riuscirono ad arrivare in borgata. Parcheggiavano l’automobile sotto il palazzone che gli si affacciava davanti, il bottone dell’antifurto una volta premuto fece fischiare l’auto accompagnando con la luce rossa sparata dagli stop le loro ombre che silenziose e furtive sembravano arrampicarsi sulla facciata di quella costruzione grigia e buia.
-        Te lo dico fa parlà a me che sta tipa e na zingara mezza ‘mpazzita! Sta mezza de fori dalle paranoie, comunque mò vedrai te  in che casa te sto a portà quindi me raccomando… -
-        Vabbè ok, ho capito ma manco m’hai detto come dovemo fa coi soldi, quanto vole questa? Te poi mica t’ho capito, ma ce l’hai qualche soldo? –
-        Ma io sto co ‘na decina de euri, ma comunque a me me conosce poi se te c’hai n po’ da spenne magari a me ce pensa lei… -
-        Se, se ho capito va… -
-        Ma che stai a scherzà? Guarda che a me po esse che mica me devi offrì niente, poi comunque dai che alla fine la dritta è mia, sennò rimanevi a piedi, no? –
-        Se, se giusto a piedi, daje salimo da questa và, vedemo de dasse ‘na mossa… -
Con il viaggio in auto gli era tornata un po’ di lucidità, quel poco che bastava per fargli pensare a la cazzata che stava facendo, ma d’altro canto ormai era arrivato sin qui e adesso non poteva di certo tornare in dietro a mani vuote.
Salirono queste scale anguste, zozze, su ogni gradino c’era almeno un dito di lerciume, misto a carte di caramelle e pacchetti di sigarette vuoti. Si fermarono di fronte ad una porta d’appartamento, la particolarità era che prima della porta, ossia nell’immediato spazio che la precedeva, era stato montato un cancellone in acciaio battuto con un spioncino, simile a quelli della farmacia notturna. I due bussarono ed aspettarono. Non si sentiva niente che venisse dall’interno della casa.
-        Ma che m’hai fatto venì fino qua e mò questa magari sta a dormì? –
-        Ma de che questa non dorme mai, aspè… -
-        E aspettamo… -
Ribussarono. Ribussarono ancora. Niente. Dall’appartamento non veniva fuori nessuno, e non si sentiva nient’altro che il vento che soffiava tra gli alberi fuori dal palazzo.
-        Senti, ‘namosene và, ch’è mejo! –
-        Aspè, aspè… -
-        Daje, basta accanna co sta cosa che qua magari ce se stranisce pure quarcuno, mica no… -
-        Te dico ‘spè, daje bono n’attimo… -
Si era stancato, ed iniziava a pensare che forse fosse anche meglio così, stava per rimboccare la tromba delle scale, quando un mugugno arrivò alle loro orecchie attente da dietro, l’acciaio e la porta.
-        Sò io, ahò sò io!- Il ragazzo bisbigliò poggiandosi con le braccia tra le fessure del cancello.
La porta finalmente si aprì. Un fiotto di aria calda investì i due che stavano ancora in piedi su quel pianerottolo freddo e buio. La luce inondò il pavimento sotto i loro piedi e nel mentre disegnò una sagoma nera sulla parete opposta a quella dell’ingresso che gli si era offerto, la sagoma era di una donna dall’età indefinita.
La signora, per così dire, era magrissima, le sue guancie erano completamente scomparse sotto l’influsso del tempo passato a succhiare penne a sfera, i capelli grigi e bianchi scendeva sul suo collo secco e rugoso, i tendini del collo erano ben visibili, perché di tanto in tanto si tendevano quasi allo spasmo, sembrava quasi si potessero spezzare da un momento all’altro. In dosso portava una di quelle vesti da signora anziana e casalinga, tanto che sopra ci aveva abbinato un grembiule da cucina allacciato in vita. Ai piedi portava delle ciabatte del mercato, di quelle con lo strappo sopra, come portavano i bambini negli anni ’80 e ’90. Sembrava effettivamente uscita da una frattura del continuum spaziotemporale, era molto stile Amore Tossico di Caligari, tanto per fare un esempio.
Il ragazzo confabulò qualcosa con la padrona di casa, poi si girò verso l’altro e tese la mano in segno di pagamento, l’altro con un cenno della testa e una lanciata di sguardo fece a capire se andava tutto bene e l’altro abbassò il capo in segno d’affermazione. I soldi passavano adesso di mano in mano fino a che non si infilarono nello spioncino e vennero scambiati con delle pallettine di plastica bianca.
Conclusa la transazione, scendevano le scale e tornavano in macchina.
-        Hai visto che era tutto ok? –
-        Tutto ok, tuto ok… - Ripetè l’altro in modo sarcastico.
-        Che c’è che non va? –
-        Niente, niente stavo a giocà, ‘nnamò ‘n macchina così sbragamo sta cosa e se ne potemo ‘nnà tuti a casa, daje n po’… -
-        Ma che vai de fretta mò? Famme capì… -
-        Più che altro è quasi giorno, vivo dall’altra parte de Roma e ancora stamo co sta cosa n mano che demo ancora solo inizià de scartalla, sai se se arzano i miei quelli chiamano e non me va de stalli a sentì pure oggi, speravo che facevamo prima, ma vabbè comunque lascia sta che tanto non sò cazzi tua… -
-        Daje che ce pensi dopo ai tuoi, mò assaggiamose sta cosa và ch’è ‘na cifra bona, mò vedi… -
-        Se, se… -
Montati in macchina i preparativi iniziarono nuovamente come sempre, schede alla mano, banconote nell’altra e via.
Pippavano e chiacchieravano, chiacchieravano e pippavano e all’incirca in un’oretta la condensa, che si era formata sui finestrini della vettura che li confortava, aveva fatto sì che i loro volti diventassero invisibili per le prime finestre che si iniziavano ad accendere là intorno e per i primi passanti che si piegavano all’aria gelida delle prime luci dell’alba. Finita la storia, i due si guardarono e senza neanche farlo a posta avevano già deciso di spostare di nuovo la macchina per tornare nuovamente sotto casa alla gentile presenza che li aveva accolti prima con tanto amore. Salirono di corsa ancora quelle scalaccie e si trovarono ancora di fronte lo spioncino, bussarono e questa volta la misteriosa e silenziosa presenza non tardò ad aprire addirittura invitandoli all’interno.
All’interno la situazione era non meno grottesca di come potesse apparire da fuori, l’appartamento era una sorta di monolocale con angolo cottura e lettone matrimoniale in mezzo alla stanza, in un angoletto dello stanzone era sistemato un tavolinetto decrepito, tra i più rimediati mai visti prima, talmente era storto che solo con la scoliosi avresti potuto finire un pasto seduto lì senza troppi dolori. Le pareti erano adorne di una carta da parati risalente grosso modo al paleolitico inferiore, sembrava di intravederci anche delle forme di graffitismo preistorico, figure ed immagini di caccia si accavallavano nella mente di lui mentre viveva quella situazione nata come per incanto da un incontro più che casuale. Sopra il letto a due piazze mille pallette di plastica buttate alla rinfusa ricoprivano buona parte della superficie del piumone da letto, inutile dire che la signora sul comodino aveva inoltre pronta una bottiglietta d’acqua appena modificata pronta a sostituire quella vecchia che gli stava accanto, era talmente nuova quella bottiglietta che quasi stonava con tutto il resto dell’appartamento, soprattutto con la padrona. Alla domanda del padrone di casa su quanto volessero i due risposero comprando altre due saccocciate, identiche per forma e peso alle precedenti, che consumarono fumandole insieme alla padrona di casa in men che non si dica.
Dopo circa tre quarti d’ora erano di nuovo pronti con le giacche adosso per scendere le scale e risalire in macchina scendendo in un silenzio quasi clericale.
-        Senti, ma te ‘n do abiti? ‘N do voi che te lascio? –
-        Ma a me credo che vada bene se me accanni al MacDonald sur raccordo… C’hai presente quello che sta verso l’Ardeatina? –
-        Sì, certo che ce l’ho presente, dico ma sei sicuro che voj che te accanno proprio là? –
-        Sì, perché che c’è de strano? –
-        Boh, che ne so me pare n posto n po’ der cazzo, no? –
-        No, no che me faccio venì a prende da qualcuno… -
-        Vabbè, se pe te va bene… Fa come te pare, io ‘n do me dici te lascio, anzi ch’è pure de strada, da paura! –
La strada fatta all’andata veniva ripercorsa minuziosamente al ritorno. Il viaggio fu accompagnato dalla radio che parlava senza che nessuno l’ascoltasse e da loro che non spiccicarono verbo sino al momento dei saluti. Come l’aveva raccattato, adesso lo faceva scendere da l’auto. Per una sera era come se fossero stati migliori amici da lunghi anni, in realtà nè a uno, né all’altro poteva fregare di meno del compagno. Durante tutto il corso della nottata non si erano mai chiamati neanche per nome, non aveva assolutamente importanza per entrambi. La macchina si riimmetteva nella corsia e proseguiva verso Roma sud-ovest. La figura di quel losco personaggio diventava sempre più piccola riflessa nello specchietto retrovisore che buttava uno sguardo alle sue spalle. Tornava verso casa, ma non voleva tornarci in realtà, era venerdì ed erano tutti svegli ed alzati impegnati nelle loro faccende di casa, lui invece faceva schifo, era impresentabile. Si accostò in un parcheggio nelle vicinanze di casa sua sbragò il sedile e chiuse gli occhi, quando li riaprì era di nuovo sera e faceva freddo da morire. Il cellulare senza suoneria aveva squillato tutto il giorno senza risposta. Scosse la testa in segno di negazione guardandosi nello specchietto retrovisore del parabrezza, si guardava e si chiedeva come mai, poi capì che forse era meglio non chiedere troppo, riaccese il motore, sgasò e questa volta diresse verso casa veramente.

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