sabato 16 novembre 2013

É Tutto a Posto.

Capitolo Sei.

Amara Sorpresa.


Le ruote sbattevano tra di loro, buttate dietro al furgone, facevano rumore, ma era un rumore piacevole per le loro orecchie. Rumore di vittoria, rumore di successo. Le mani lerce, sudice di grasso e di sporcizia erano entrambe sporche. Dovevano lavarle. Dirigevano verso Santa Silvia una zona nei paraggi di via Portuense. Guidavano verso il mercato alla ricerca di una fontanella. Volevano lavarsele tutti e due. Erano così sporche che era passato molto tempo dall’ultima volta che avevano potuto poggiarsele addosso. Il nasone spruzzava acqua tutt’intorno, gli schizzi riempivano di pois scuri le loro scarpe. Messe le mani sotto il gelido flusso d’acqua, ci vollero varie strofinate prima di vederle tornare ad un colore sufficientemente pulito, normale. La sporcizia scivolava via nella fessura nel suolo, scivolavano via così quelle poche tracce che li collegavano al lavoro fatto durante la notte. Un prurito tremendo lo affliggeva ormai da diversi minuti. Il sole con i suoi raggi stava ormai già illuminando tutti i palazzi intorno a loro, al mercato si iniziavano ad allestire i banconi. Non resisteva più, doveva assolutamente grattarsi, e lo fece. D’un tratto la sua faccia sbiancò ed  una smorfia  di stupore e domanda si poggiò violentemente su di lei. Grattandosi il didietro, alleviando il violento prurito si era spiacevolmente accorto che decisamente c’era qualcosa che non andava. Iniziò a fare mente locale e partì con un check up personale. Si sbatteva le mani addosso, rovistava e tirava fuori tutto ciò che aveva nelle tasche. C’era qualcosa che mancava all’appello. Precisando che per lui il check up consisteva nel controllare se avesse con se chiavi, portafoglio con soldi, cellulare e documenti, si era accorto che qualcosa tra queste era scomparsa, qualcosa non tornava all’appello. Il portafoglio! Il portafoglio con i soldi, documenti e ketamina non c’era! Era sparito! Come cazzo era successo? Non gli sembrava vero, nell’arco di un secondo i suoi pensieri iniziarono a bussare alla porta della preoccupazione, la preoccupazione più buia. Le macchine che avevano aperto erano innumerevoli, le volte che avevano dovuto correre anche. Il panico iniziò a farsi più visibile nel momento in cui comunicò la spiacevole notizia al compagno  che non fece tardare una serie di insulti per l’amico, insulti che di certo non lo stavano aiutando assolutamente. Immediatamente risalirono in macchina e si diressero verso tutte le auto che li avevano visti introdursi al loro interno nel corso della notte. Le scuole iniziavano ad aprire i cancelli, i negozi tiravano su le serrande e loro dovevano tornare su tutti i luoghi delle loro malefatte, sotto gli occhi dei passanti freschi e riposati dopo il riposo notturno. I mille frammenti di vetro scricchiolavano e stridevano sotto i loro piedi e sederi quando poggiavano su di loro, le auto ne erano ricoperte. La gente sui marciapiedi li osservava mentre imprecavano ad alta voce facendo finta di essere i diretti interessati e proprietari delle vetture danneggiate. Il numero delle macchine diminuiva di volta in volta dopo che le visitavano di nuovo una ad una, ma niente da fare, il portafogli non saltava fuori. Qualcuno doveva averlo già trovato e adesso molto probabilmente una volante della polizia si dirigeva verso casa sua con i suoi genitori ancora a letto a dormire. Il giro fatto a ritroso era terminato e non aveva dato esito positivo.
-        Che cazzo faccio mò?-
-        Non so veramente che ditte, che voi fa? Dimme te.-
-        Eccheccazzo ne so io, già me vedo que’e facce da cazzo davanti a mi padre che je chiedono ndo sto…-
-        Senti a sto punto me sa che è mejo se te porto a casa-
-        Naa, io così nce torno mica… Senti che faccio, cori vola ar commissariato a piazzale dea radio che me vado a fa na bella denuncia…-
-        Dici? E se quelli so già nnati?-
-        E se quelli so già nnati me la pijo n der culo, e scatta a villeggiatura… Però se non lo hanno trovato, je dico che quarche fijo de na mignotta me lo ha fottuto e me tutelo a mestiere…-
-        Fa come te pare, io te ce porto, daje nnamo de corsa…-
Il furgone sfrecciava, slalomando tra le altre macchine in fila, correvano verso il commissariato e lì lui avrebbe scoperto in prima persona se il fato gli era stato avverso più di quanto non lo fosse già stato.
Il furgoncino si accostò al bordo della strada i due si scambiarono un’occhiata che non presagiva niente di gradevole.
-        Ahò io vado, me sa che te forse è mejo se te dai, non se sa mai che questi vengono pure a vede se sto co qualcun altro…-
-        Daje, n bocca al lupo allora-
-        Crepasse sto stronzo de lupo, ‘ccisua!-
L’amico gli sorrise e con un cenno della testa lo congedò. L’altro adesso con aria cupa si avvicinava alla svelta un passo dietro l’altro verso il portone del commissariato. Prima di entrare si accostò ad un secchione dell’immondizia e senza farsi notare da anima viva poggiò il resto degli stupefacenti, nascondendoli, non voleva portarli con se. Pensava a quanto fosse stronzo. In più d’una occasione i suoi cari glielo avevano fatto notare negli ultimi tempi ma era proprio in questi momenti che se ne rendeva pienamente conto.
Avrebbe seriamente voluto darsi una botta di roba prima di entrare, ma decisamente non era quello il momento per fare certi pensieri, doveva inventare la storia da raccontare. In men che non si dica aveva fissato i punti cardine del racconto, ora si sentiva più sicuro. Il sipario si stava alzando e i riflettori erano puntati tutti su di lui. Era la stella di quello show e doveva brillare come non avesse mai  fatto prima.
Il citofono suonò.
-        Sono qui per fare una denuncia di smarrimento o di furto non ne sono proprio certo…-
La porta si aprì e si richiuse alle sue spalle. L’agente all’entrata indicò dove fosse l’ufficio che gli serviva. Salì le scale fino al secondo piano, ufficio denunce. Bussò alla porta una voce sgraziata rispose acconsentendo all’ingresso. Girò la maniglia e si affacciò sulla camera. Dentro sedevano due poliziotti alle rispettiva scrivanie. L’ufficio era molto squallido, grigio e i poliziotti al suo interno non aiutavano a dar colore con quelle facce. Le scrivanie era colme di pile di fogli fotocopiati, lastre bianche ricche di scritte nere, erano ovunque, sembravano quasi come colonne per quanto erano alte. Gli agenti lo inquadrarono subito male con lo sguardo, analizzandolo da cima a fondo. Il più grosso dei due gli fece cenno di sedere. Lui s’accomodò sulla sedia posta di fronte alla scrivania e iniziò la recita.
Quella sera era stato prima a Trastevere a cena, specificando il nome del ristorante ma fino lì tutto bene, dopo il pasto serale aveva deciso insieme alla sua ragazza ed ad un’altra coppia di andare a ballare in discoteca e proprio lì dopo l’ingresso e dopo aver pagato l’entrata e la seconda consumazione si era visto sprovvisto del suo portafogli nero di pelle, contenente 200 euro e documenti, tra cui patente, codice fiscale e patente B di guida. Date le generalità incrociò le dita e il destino volle che non risultasse nulla. Il computer non dava nessun tipo di riscontro. Nessuno aveva denunciato il danneggiamento di una macchina o furto di ruote menzionando il suo nome. Nessun reato lo riguardava ne da lontano, quanto meno da vicino, il sorriso già stava tornando ad arricchire le sue guancie bianche. Firmati tutti i fogli e carte varie uscì vincitore dal commissariato dopo soli pochi minuti, arricchendo quelle pile di fogli simili a  colonnati. Riaccese il telefono comunicò a casa che stava ancora in giro e che stava per rientrare,  ma non sarebbe rientrato se prima non avesse di nuovo visto Sonia. Chiamò un taxi. Il taxi arrivò e salì.
Il taxi percorso il tragitto da lui descritto si parcheggiava sotto casa di Sonia, sceso raccomandava al tassista di aspettarlo, e che entro breve sarebbe sicuramente tornato, pagò la prima parte dell’importo e si diresse verso il portone che lo divideva dal premio che sentiva d’aver meritato dopo tutto quel terribile trambusto imprevisto.
In quattro e quattro, otto raccontò la vicenda alla ragazza che non potè che mettersi a ridere.
-        Tu sei tutto matto!-
-        No, io so scemo proprio!-
Si scambiarono un bacetto e risalì sul taxi dopo aver sceso le scale del palazzo.
Si era accomodato sui sedili posteriori in pelle della Mercedes bianca che lo scarrozzava per la città. Guardava fuori dal finestrino mentre l’eroina gli tornava in circolo e lo cullava in quel limbo provvisorio che amava tanto. Guardava i genitori in ritardo affaccendati con i bambini piccoli da portare a scuola, guardava la gente comune che si dirigeva sempre più distrutta verso il lavoro, il lavoro di una vita. Queste scene lo facevano riflettere e pensare ad un futuro in cui lui si sarebbe dovuto trovare in quelle situazioni, niente di più lontano per lui in quel momento, con la vita che conduceva. Un giorno prima o poi tutta quella giostra che era la sua vita sarebbe dovuta finire, ma in che modo? Non ne aveva idea. Lasciava correre le giornate, e scorrere il tempo e questo lasciarsi andare lo faceva sentire sempre più diverso, diverso da quella che era la società normale. Fingeva e si costringeva a voler passare per uno di loro, ma era completamente consapevole del fatto che non era assolutamente come loro. Viveva due vite, due facce della stessa medaglia, il giorno lo vedeva composto nella farsa di una faccia pulita e tranquilla, ma la sera quella faccia era stravolta dalle situazioni, dalle persone  che frequentava e dalla droga che assumeva. Il circo degli eventi, era così che immaginava la sua vita, come un circo fatto di conoscenze, di numeri, cifre, di polveri e di racconti, tanti racconti. I racconti delle sue vicende avevano accompagnato le serate di molte persone, sapeva intrattenere il pubblico, il suo pubblico, il suo show. Viveva in un film? Sua madre era convinta che ormai fingesse una parte, era diventato un personaggio, ne era sempre più certa. Per il genitore ovviamente era così, perché questo vedeva solamente la parte diurna di lui, invece quella celata, la parte nascosta non la viveva mai dal vivo, ne poteva conoscere giusto gli strascichi, strascichi sempre più frequenti che venivano a minare la tranquillità dell’altra identità parallela, quella che conduceva a casa e in famiglia. Le denunce, i pericoli, le risse, le fughe, i treni, le scritte, la droga e i soldi, per quanto cercasse di nascondere, venivano sempre più allo scoperto. Non era possibile gestire questo flusso incontrollabile di eventi che gli turbinavano contro portandoselo via, portando via la persona che era sempre stata prima di tutto questo. A casa non si viveva più bene, il pensiero di quello che poteva fare quando era fuori in giro, turbava tutto il nucleo famigliare, le preoccupazioni di uno si riversavano sull’altro e quelle dell’altro su l’altro ancora, l’unico che non viveva poi così tanto questo supplizio era proprio lui perché a casa non ci stava praticamente mai. Usciva il giovedì dopo pranzo e tornava anche il lunedì sera delle volte. Letteralmente spariva, si eclissava, ovviamente si eclissava, per il fatto che non poteva svelare le condizioni in cui sempre più spesso versava. Si nascondeva, saltava dalla casa di un amico a quella di un altro, in un continuo via vai senza fine. Il tutto sembrava veramente essere senza fine.



Si era addormentato, il troppo pensare lo aveva stravolto. Il tassista proseguiva la sua corsa ormai senza le sue indicazioni. La macchina scivolava per le strade sull’asfalto bagnato, il riflesso delle finestre dei palazzi sul finestrino sembravano guardarlo. Quelle persone, quei visi affacciati sui loro davanzali lo guardavano, ma restavano indifferenti, come molte delle persone che lo circondavano, nessuno di loro si interrogava sul perché di tanto odio verso la serenità, di tanto odio verso una vita come le loro. Era solo, sempre più solo in un oblio di confusione. Quando riaprì gli occhi, le prime gocciarelline di pioggia si stavano posando su quel finestrino che rifletteva il fantasma di una vita per lui così distante. Si guardò intorno non capiva dove era. Poi riconobbe il colore inconfondibile del tetto del suo palazzo, si diede una scrollata e si riacciuffò. Il tassista comunicava il prezzo della corsa, che lui non si fece mancare di pagare. Il taxi l’aveva riportato a casa. La sua macchina era ancora in giro, pensò che la sarebbe andata a riprendere in un secondo momento, se ne era completamente scordato. Salutò il tassista, aprì il portone e salì le scale verso la sua dimora. Ancora una volta era tornato, tornato alla base sano e salvo.

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