domenica 24 novembre 2013

É Tutto a Posto. Capitolo Otto. Compagni per una Notte.




- ‘O sai che m’hai popo rotto ‘r cazzo! -
- De che? -
- De tutte ste telefonate, de tutti sti conti, de sti sordi, de tutti l’impicci che fai e dello stronzo che sei! -
- ‘N te ce mette pure te mò però! -
- Hai rotto r cazzo! ‘N gliela faccio più a vedette così, stai sempre imparanoiato, fai solo conti e parli solo de sordi, basta cazzo! -
- Ma che devo fa, me mancano dei soldi, ho fatto quarche cazzata, mò se rimedia, damme r tempo, però… -
- Me pare d’esse tornata a quanno te cercava quer mezzo zingaro cattivo -
- Hahaha, te ricordi che tajo! -
- Ma che tajo, n se sa che ansia, no che tajo! -
- Che telefonava a casa e non sapeva che c’ho n fratello, je rispondeva lui e se credeva che ero io che lo cojonavo… hahahaha! Poraccio mio fratello n se sa le minaccie che je diceva… -
- Hahhaha… E’ vero me l’ero scordata sta cosa! Uahuhauhuaua! -
- Comunque non so più che fa, questi me stanno pure a venì a cercà sotto casa, mi madre m’ha detto che m’è venuto a cercà qualcuno e che sto quarcuno non j’è piaciuto pe niente ar citofono, non j’ha manco voluto dì r nome, dice n’amico, ‘cci loro! Pezzi demmerda, pe n ritardo de n poco più de mille euro! Co tutti li sordi che j’ho sempre portato, bastardi! -
- Lo sai come so fatti quelli, finchè ungi bene, poi come stai n’attimo a secco, boom! Come niente te li ritrovi sotto casa! –
- ‘R problema è che non me stanno più a fa lavorà come prima… -
- E ce credo, pe come te stai a comportà, ringrazia Dio che ancora cammini co le gambe tue…-
- Esagerata! Mò pe n periodo che gira n po’ così… -
- Non è ‘r periodo, sei te che sei n po’ così… “sto periodo”! –
- Pure te c’hai ragione, quanno inizio a fumà, me vorei mette le manette e legame ar termosifone, cazzo! –
- Vai fori de testa, non te se po’ più guarda! –
- Me sà che dice bene Marco, l’artra vorta m’ha detto che come l’ho fatti inizià a fumà tutti io, j’ho fatto pure passà ‘a voja a tutti quanti! – Sì, me sa che r quadro lo riassume alla perfezione, vedi che se pure Marco te sta a dì ‘na cosa der genere, me sa che allora stai messo peggio de quello che fai vede… -
- Ma che stai a dì, lo sai che pe te so cristallino… -
- Sì, giusto cristallino… -
- Ma che scherzi! –
- Scherzo, scherzo, comunque ‘n va bene così… -
- Lo so, lo so che ‘n va pe niente bene, non me lo dì a me… -
- No, ‘nvece lo dico proprio a te! –
Passavano i giorni e la situazione non faceva che precipitare, i pensieri lo gravavano parecchio ed ogni sera per evadere da un peso che lo accompagnava costantemente durante il giorno, tornava a commettere sempre lo stesso errore. Ogni sera cucchiaio, bicarbonato e si ripartiva sempre da capo, la sostanza friggeva nuda bagnata sulla superficie d’acciaio cromato del cucchiaio che sotto il fuoco della fiamma non poteva far altro che annerirsi. La macchia di nero sui cucchiai di casa era un qualcosa di indelebile, il solo guardarla lo faceva sentire proprio come quel cucchiaio, nero sporco e macchiato con un qualcosa di indelebile, un sapore indimenticabile in bocca che ti accompagna per tutta la vita. Delle volte durante la giornata gli saliva da dentro uno schiocco di tosse che gli faceva tornare in bocca quel sapore di plastica dolciastra che ti lascia la cocaina sulla lingua e sui denti, denti che pian piano risentono delle sostanze chimiche di cui è bagnata e tagliata la polvere bianca sudamericana, denti che si piegano e poi spezzano sotto il costante effetto della densa nuvola malsana che soffi fuori.
Claudia era sempre più stanca e sottoposta ad un continuo forcing mentale e fisico, lui la faceva preoccupare e lei lentamente iniziava a non vedere più un’uscita possibile. Le continue scuse, i continui ritardi i continui rinvii d’impegno la facevano soffrire, ed iniziava a risentire molto di quel logoramento interiore. Tante volte la sera cercava di dissuaderlo da quella catena di montaggio che metteva su ogni qual volta si poteva un momento sedere su una sedia in una camera con la porta chiusa. Gli atteggiamenti di lui, durante la fase di cottura e soprattutto postumi a quella, iniziavano a diventare seriamente preoccupanti, era in costante frenesia, non riusciva e tenere gambe e mani immobili tremavano vistosamente, anche le sue capacità verbali risentivano parecchio dell’effetto della sostanza, quasi era  costretto a smettere di parlare tanto gli tremava la voce, senza poi elencare le innumerevoli volte in cui si convinceva che ci fosse qualcun altro dentro casa o addirittura dietro la porta che origliava, guardava fuori dalla finestra per paura che la polizia potesse arrivare in qualsiasi momento, si accasciava a cercare per terra pezzi di cocaina cotta persa durante il corso della notte anche se di cocaina non ne fosse mai caduta una singola briciola. Il tutto iniziava ad essere seriamente preoccupante ed imbarazzante in altre situazioni, la discesa imboccata era scoscesa e ripida ed era difficilmente possibile invertire la direzione di marcia.
Lui di tutto ciò, si rendeva conto solamente appena l’effetto della giostra mortale scendeva, appena finito il giro si guardava allo specchio e si chiedeva cosa mai stesse succedendo e perché mai non la smettesse, ma ogni sera si andava a cercare un nuovo compagno di giochi e la partita aveva di nuovo inizio. Molte delle volte si accollava anche personaggi che non gli erano assolutamente congeniali e li incastrava offrendo loro serate ai limiti del possibile che con le loro semplici finanze non si sarebbero mai potuti permettere. Poi ad un tratto quando le rocce rimaste iniziavano a scarseggiare, percepiva un reale distacco da chi in quel momento si trovava con lui e pensava perché mai? Perché mai? Il rimorso era forte in quegli istanti, il rimorso per le sue azioni, il rimorso per come la sua faccia gli appariva di fronte allo specchio, ma col tempo invece che decidere di smettere di continuare, aveva iniziato ad ignorare quel rimorso che lo faceva stare così male, durante quello star già male per la fine della sostanza non era buono starsi anche a commiserare per come ci si era ridotti.
Le dinamiche di ragionamento venivano sempre più spesso intaccate, smussate e poi stravolte, ormai il male di cui viveva era tale che per lui esisteva e basta ed era impensabile credere che quel male sarebbe dovuto cessare per una propria scelta.
Quella sera dopo essere uscito da casa di Claudia, come al solito era sceso verso Trastevere, S.Calisto, Vicolo del Bologna, Vicolo del Cinque e Piazza della Scala, il tour delle viette e vicoli si svolgeva come del resto quasi tutte le sere.
Durante questo periodo il solo anche girare per Trastevere ad ogni modo non lo faceva stare un gran che bene, lo stavano cercando e bastava solo questo pensiero per non farlo stare tranquillo, sapevano tutti quanti dove potessero trovarlo e di certo se non si fosse sbrigato a sistemare le cose prima o poi avrebbe fatto l’incontro che tanto non voleva fare. Quella sera non incontrò nessuno in particolare ma non aveva voglia di rientrare a casa a fumare così rimase in giro da solo a  bere saltando da un bar ad un altro. Si erano fatte quasi le tre di notte ed il S.Calisto era chiuso da un pezzo, era tornato verso la macchina che era parcheggiata in piazza perché anche “Il Bruschettaro” ultimo baluardo trasteverino stava per chiudere. Pippava le ultime botte di cocaina che gli erano rimaste stando seduto in macchina con un po’ di musica accesa, mentre se ne stava lì seduto in disparte passarono studentesse americane che avevano preso un appartamento in affitto da quelle parti proprio vicino la Lungara, trovandosi non molto distante dall’università americana. Non si accorsero sedendosi sul cofano della sua auto che lui stava piegato all’interno e quando si rialzò i loro sguardi si incrociarono, le ragazze ubriache attaccarono subito bottone e avvistando immediatamente le strisce bianche che risaltavano sul nero lucente del libretto delle istruzioni della macchina, non ci misero tanto a chiedere se avesse potuto fargli assaggiare quello che anche lui stava gradendo. Una dopo l’altra si piegarono sul sedile avvicinando la banconota arrotolata alla narice. Nello stesso istante in cui si svolgeva tutto ciò stava passando di là un altro ragazzo sulla trentina che notò subito il movimento e venne a chiedere se si poteva offrire qualcosa anche a lui. Lui gli spiegò immediatamente che purtroppo sarebbe dovuto arrivare un frazione di secondo prima per essere in tempo e che quindi sfortunatamente per lui non si poteva fare più niente.
La cocaina mischiata all’alchool lo faceva parlare molto e gli dava grande sicurezza, in quei momenti infatti diventava socievole anche con chi non lo sarebbe mai stato in altra situazione.
Il ragazzo chiese se lui sapesse per caso dove rimediare qualcos’altro, ma per un motivo o per un altro quella sera non gli riuscì di inventarsi niente di nuovo, l’altro così azzardò l’ipotesi di arrivare a Tor Bella Monaca visto che avevano l’auto, senza neanche ragionare per un secondo acconsentì immediatamente, liquidò le americane per cui secondo lui già avevano scroccato abbastanza per la serata ed in men che non si dica era in macchina con il primo sconosciuto raccattato per strada diretto chissà dove e chissà da chi a Tor Bella Monaca.




La macchina prendeva il raccordo, l’asfalto scivolava sotto i copertoni caldi della Golf, la strada era vuota e le prime luci dell’alba sembravano apparire dietro il disegno frastagliato degli alberi e colli all’orizzonte. L’altro indicava con cura l’uscita e le svolte da prendere e con il tempo che la sua lucidità raccattata al momento gli concesse riuscirono ad arrivare in borgata. Parcheggiavano l’automobile sotto il palazzone che gli si affacciava davanti, il bottone dell’antifurto una volta premuto fece fischiare l’auto accompagnando con la luce rossa sparata dagli stop le loro ombre che silenziose e furtive sembravano arrampicarsi sulla facciata di quella costruzione grigia e buia.
-        Te lo dico fa parlà a me che sta tipa e na zingara mezza ‘mpazzita! Sta mezza de fori dalle paranoie, comunque mò vedrai te  in che casa te sto a portà quindi me raccomando… -
-        Vabbè ok, ho capito ma manco m’hai detto come dovemo fa coi soldi, quanto vole questa? Te poi mica t’ho capito, ma ce l’hai qualche soldo? –
-        Ma io sto co ‘na decina de euri, ma comunque a me me conosce poi se te c’hai n po’ da spenne magari a me ce pensa lei… -
-        Se, se ho capito va… -
-        Ma che stai a scherzà? Guarda che a me po esse che mica me devi offrì niente, poi comunque dai che alla fine la dritta è mia, sennò rimanevi a piedi, no? –
-        Se, se giusto a piedi, daje salimo da questa và, vedemo de dasse ‘na mossa… -
Con il viaggio in auto gli era tornata un po’ di lucidità, quel poco che bastava per fargli pensare a la cazzata che stava facendo, ma d’altro canto ormai era arrivato sin qui e adesso non poteva di certo tornare in dietro a mani vuote.
Salirono queste scale anguste, zozze, su ogni gradino c’era almeno un dito di lerciume, misto a carte di caramelle e pacchetti di sigarette vuoti. Si fermarono di fronte ad una porta d’appartamento, la particolarità era che prima della porta, ossia nell’immediato spazio che la precedeva, era stato montato un cancellone in acciaio battuto con un spioncino, simile a quelli della farmacia notturna. I due bussarono ed aspettarono. Non si sentiva niente che venisse dall’interno della casa.
-        Ma che m’hai fatto venì fino qua e mò questa magari sta a dormì? –
-        Ma de che questa non dorme mai, aspè… -
-        E aspettamo… -
Ribussarono. Ribussarono ancora. Niente. Dall’appartamento non veniva fuori nessuno, e non si sentiva nient’altro che il vento che soffiava tra gli alberi fuori dal palazzo.
-        Senti, ‘namosene và, ch’è mejo! –
-        Aspè, aspè… -
-        Daje, basta accanna co sta cosa che qua magari ce se stranisce pure quarcuno, mica no… -
-        Te dico ‘spè, daje bono n’attimo… -
Si era stancato, ed iniziava a pensare che forse fosse anche meglio così, stava per rimboccare la tromba delle scale, quando un mugugno arrivò alle loro orecchie attente da dietro, l’acciaio e la porta.
-        Sò io, ahò sò io!- Il ragazzo bisbigliò poggiandosi con le braccia tra le fessure del cancello.
La porta finalmente si aprì. Un fiotto di aria calda investì i due che stavano ancora in piedi su quel pianerottolo freddo e buio. La luce inondò il pavimento sotto i loro piedi e nel mentre disegnò una sagoma nera sulla parete opposta a quella dell’ingresso che gli si era offerto, la sagoma era di una donna dall’età indefinita.
La signora, per così dire, era magrissima, le sue guancie erano completamente scomparse sotto l’influsso del tempo passato a succhiare penne a sfera, i capelli grigi e bianchi scendeva sul suo collo secco e rugoso, i tendini del collo erano ben visibili, perché di tanto in tanto si tendevano quasi allo spasmo, sembrava quasi si potessero spezzare da un momento all’altro. In dosso portava una di quelle vesti da signora anziana e casalinga, tanto che sopra ci aveva abbinato un grembiule da cucina allacciato in vita. Ai piedi portava delle ciabatte del mercato, di quelle con lo strappo sopra, come portavano i bambini negli anni ’80 e ’90. Sembrava effettivamente uscita da una frattura del continuum spaziotemporale, era molto stile Amore Tossico di Caligari, tanto per fare un esempio.
Il ragazzo confabulò qualcosa con la padrona di casa, poi si girò verso l’altro e tese la mano in segno di pagamento, l’altro con un cenno della testa e una lanciata di sguardo fece a capire se andava tutto bene e l’altro abbassò il capo in segno d’affermazione. I soldi passavano adesso di mano in mano fino a che non si infilarono nello spioncino e vennero scambiati con delle pallettine di plastica bianca.
Conclusa la transazione, scendevano le scale e tornavano in macchina.
-        Hai visto che era tutto ok? –
-        Tutto ok, tuto ok… - Ripetè l’altro in modo sarcastico.
-        Che c’è che non va? –
-        Niente, niente stavo a giocà, ‘nnamò ‘n macchina così sbragamo sta cosa e se ne potemo ‘nnà tuti a casa, daje n po’… -
-        Ma che vai de fretta mò? Famme capì… -
-        Più che altro è quasi giorno, vivo dall’altra parte de Roma e ancora stamo co sta cosa n mano che demo ancora solo inizià de scartalla, sai se se arzano i miei quelli chiamano e non me va de stalli a sentì pure oggi, speravo che facevamo prima, ma vabbè comunque lascia sta che tanto non sò cazzi tua… -
-        Daje che ce pensi dopo ai tuoi, mò assaggiamose sta cosa và ch’è ‘na cifra bona, mò vedi… -
-        Se, se… -
Montati in macchina i preparativi iniziarono nuovamente come sempre, schede alla mano, banconote nell’altra e via.
Pippavano e chiacchieravano, chiacchieravano e pippavano e all’incirca in un’oretta la condensa, che si era formata sui finestrini della vettura che li confortava, aveva fatto sì che i loro volti diventassero invisibili per le prime finestre che si iniziavano ad accendere là intorno e per i primi passanti che si piegavano all’aria gelida delle prime luci dell’alba. Finita la storia, i due si guardarono e senza neanche farlo a posta avevano già deciso di spostare di nuovo la macchina per tornare nuovamente sotto casa alla gentile presenza che li aveva accolti prima con tanto amore. Salirono di corsa ancora quelle scalaccie e si trovarono ancora di fronte lo spioncino, bussarono e questa volta la misteriosa e silenziosa presenza non tardò ad aprire addirittura invitandoli all’interno.
All’interno la situazione era non meno grottesca di come potesse apparire da fuori, l’appartamento era una sorta di monolocale con angolo cottura e lettone matrimoniale in mezzo alla stanza, in un angoletto dello stanzone era sistemato un tavolinetto decrepito, tra i più rimediati mai visti prima, talmente era storto che solo con la scoliosi avresti potuto finire un pasto seduto lì senza troppi dolori. Le pareti erano adorne di una carta da parati risalente grosso modo al paleolitico inferiore, sembrava di intravederci anche delle forme di graffitismo preistorico, figure ed immagini di caccia si accavallavano nella mente di lui mentre viveva quella situazione nata come per incanto da un incontro più che casuale. Sopra il letto a due piazze mille pallette di plastica buttate alla rinfusa ricoprivano buona parte della superficie del piumone da letto, inutile dire che la signora sul comodino aveva inoltre pronta una bottiglietta d’acqua appena modificata pronta a sostituire quella vecchia che gli stava accanto, era talmente nuova quella bottiglietta che quasi stonava con tutto il resto dell’appartamento, soprattutto con la padrona. Alla domanda del padrone di casa su quanto volessero i due risposero comprando altre due saccocciate, identiche per forma e peso alle precedenti, che consumarono fumandole insieme alla padrona di casa in men che non si dica.
Dopo circa tre quarti d’ora erano di nuovo pronti con le giacche adosso per scendere le scale e risalire in macchina scendendo in un silenzio quasi clericale.
-        Senti, ma te ‘n do abiti? ‘N do voi che te lascio? –
-        Ma a me credo che vada bene se me accanni al MacDonald sur raccordo… C’hai presente quello che sta verso l’Ardeatina? –
-        Sì, certo che ce l’ho presente, dico ma sei sicuro che voj che te accanno proprio là? –
-        Sì, perché che c’è de strano? –
-        Boh, che ne so me pare n posto n po’ der cazzo, no? –
-        No, no che me faccio venì a prende da qualcuno… -
-        Vabbè, se pe te va bene… Fa come te pare, io ‘n do me dici te lascio, anzi ch’è pure de strada, da paura! –
La strada fatta all’andata veniva ripercorsa minuziosamente al ritorno. Il viaggio fu accompagnato dalla radio che parlava senza che nessuno l’ascoltasse e da loro che non spiccicarono verbo sino al momento dei saluti. Come l’aveva raccattato, adesso lo faceva scendere da l’auto. Per una sera era come se fossero stati migliori amici da lunghi anni, in realtà nè a uno, né all’altro poteva fregare di meno del compagno. Durante tutto il corso della nottata non si erano mai chiamati neanche per nome, non aveva assolutamente importanza per entrambi. La macchina si riimmetteva nella corsia e proseguiva verso Roma sud-ovest. La figura di quel losco personaggio diventava sempre più piccola riflessa nello specchietto retrovisore che buttava uno sguardo alle sue spalle. Tornava verso casa, ma non voleva tornarci in realtà, era venerdì ed erano tutti svegli ed alzati impegnati nelle loro faccende di casa, lui invece faceva schifo, era impresentabile. Si accostò in un parcheggio nelle vicinanze di casa sua sbragò il sedile e chiuse gli occhi, quando li riaprì era di nuovo sera e faceva freddo da morire. Il cellulare senza suoneria aveva squillato tutto il giorno senza risposta. Scosse la testa in segno di negazione guardandosi nello specchietto retrovisore del parabrezza, si guardava e si chiedeva come mai, poi capì che forse era meglio non chiedere troppo, riaccese il motore, sgasò e questa volta diresse verso casa veramente.

lunedì 18 novembre 2013

XX ROMA - La Roma dei Writers dalla Preistoria all' Età Contemporanea.


Scrivo oggi di un blog di cui, se sei un writer italiano e in special modo romano, non puoi assolutamente farne a meno, non perchè per essere un writer si abbia bisogno di una qualche nozione scientifica ma perchè un pò di storia non ha mai fatto male a nessuno. 
Io oltre ad essere un grande amante del writing, sono anche un grande appassionato di fumetti e nel momento in cui mi pongo dinanzi al lavoro certosino che offre il blog di cui sto parlando non può far altro che venirmi in mente l'immagine di "Uatu l'Osservatore"


Uatu rappresentato su una copertina dei Fantastici Quattro.

Ora vi spiego Uatu chi è, ebbene costui, dalla testa molto grande, è un'entità superiore con il solo ed unico compito di osservare e testimoniare tutto ciò che avviene all'interno del suo universo, quindi nel momento in cui penso al lavoro, agli anni, a tutte le foto scattate e alle ore passante lungo un binario ed in piedi su una banchina che il curatore di XX ROMA ha passato e vissuto, il paragone nasce spontaneo.
All'interno del blog è ricostruita tutta la storia cronologica del writing a Roma, dagli albori e fasti degli anni '90 sino al giorno d'oggi,.condita con una miriade di foto e con l'aiuto e testimonianze di molti dei writer più eminenti della capitale, d'italia e del globo intero.
L'archivio di immagini, foto e treni è impressionante, si viene colpiti da un mare di colore e vernice spray utilizzati per disegnare e colorare alcuni dei lavori più famosi e ancora vivi nel ricordo di tanti writer italiani, gli articoli che vengono offertici sono scritti da alcune delle più famose firme di tutti i tempi, poi se si è legati a Roma in particolare l'odissea che si può vivere navigando all'interno del blog è ancora più avvincente, il lavoro che sta dietro a tutto ciò è chiaramente il frutto di una vita passata tra vagoni, tintinnii di bombolette e pennarelli. Il nostrano Uatu con la bomboletta in mano è riuscito a raggiungere una tale perfezione nello scandire il passare del tempo ch'è corso lungo la linea tortuosa dei binari romani che nell'ultimo periodo si è addirittura cimentato in un'attività unica e totalmente fuori dal comune, è riuscito a dar vita a tutte quelle sue foto accatastate in album nascosti dentro casa, ossia con l'aiuto della tecnologia oggi offertaci è riuscito a mostrarci come determinate carrozze di alcuni convogli siano cambiate sotto l'azione costante dei tanti writer passati su di loro.



.Uno dei filmati di cui parlato sopra.

C'è chi sostiene il "writing" sia arte, c'è chi sostiene questo sia vandalismo, io qui oggi non intendo stare ad approfondire il dibattito, il mio articolo vuole solamente ed intende spezzare una lancia in favore di chi della propria passione riesce quasi o totalmente a farne un mestiere e di chi riesce a far partecipe del proprio amore molti che in realtà ne resterebbero estranei. Come Tacito e Cornelio nella Roma antica, XX ROMA racconta una storia, la storia di un fenomeno nato verso la fine dei '70 e inizi '80 in America e continuato sui sanpietrini della città eterna, offre più di uno spaccato, offre praticamente l'intero avvicendarsi di crew e "vandali" che hanno solcato le lamiere un tempo grigie dei treni della metropolitana romana, un qualcosa iniziato negli anni 90 e che oggi ancora vive e continua...
                                                                                                                           Joey Pooch


Link:
http://xxroma20.blogspot.it/  La home page di XX ROMA
http://xxroma20.blogspot.it/2012/07/il-vento-cambia.html  Uno degli articoli che più mi ha colpito...hehehe




domenica 17 novembre 2013

É Tutto a Posto.

Capitolo Sette.

Palazzetti & Rave.


Guardava dritto davanti a se, poggiato con i gomiti sul davanzale del suo balcone, il sole splendeva alto nel cielo, era una bella giornata, di nuvole non se ne vedeva nemmeno l’ombra, almeno di nuvole in cielo perché di nuvole che ottenebrassero la sua mente e pensieri all’orizzonte se ne vedevano molte. Il pensiero del suo portafoglio in giro chissà dove non lo faceva stare bene, si chiedeva continuamente chi mai l’avesse trovato e sperava ardentemente che chi l’avesse trovato avesse scambiato la ketamina al suo interno per cocaina e che adesso gli fosse preso un accidente, un accidente innocuo, più che altro almeno una bella mezz’ora di spavento. A casa era solo aspettava che sua madre e suo fratello tornassero dal lavoro. La mattina stava bene a casa proprio perché non c’era nessun’altro, non che avesse niente contro il resto della famiglia, ma forse era il resto della famiglia che evidentemente non sosteneva più il ritmo delle sue stronzate continue. Sua madre non faceva altro che ripetergli “ Quand’è che la finisci? Quand’è che smetterai? Ancora non ne hai abbastanza?”… Questa parole non facevano che risuonargli in testa da un orecchio all’altro, ne era esausto ma sapeva anche benissimo che non era assolutamente ancora abbastanza e di conseguenza sarebbe dovuto ancora sottostare per molto a questo forcing ammorbante. In realtà l’unico vero morbo per la serenità del nucleo famigliare era lui e ne era completamente consapevole. Dall’episodio dei cerchioni in lega erano passate settimane e la situazione economica ristagnava in un continuo indebitarsi da uno spacciatore all’altro per coprire i danni che continuava a fare e che non era più bene in  grado di coprire. La sua credibilità come trafficante veniva offuscata dal suo aspetto sempre più emaciato e dai racconti che venivano sempre più spesso fuori. Roma per quanto grande è sempre un paese e una notizia o racconto che sia che fa scalpore non fa altro che passare di bocca in orecchio, da orecchio in bocca con il risultato che la realtà da principio viene completamente stravolta con situazioni sempre più paradossali e numeri sempre più grandi, quindi nell’arco di poco tempo va a finire che tutti sanno tutto di te e che in realtà non sanno niente di niente.
Ripensava tante volte a come avesse cominciato tutto quanto, la prima canna che si fece durante un’occupazione a Monteverde nel liceo classico Manara e da lì iniziò subito a rifornire di spinelli quei pochi bambini che fumavano canne alle medie nella scuola dove andava, non si trattava assolutamente di spaccio era più che altro un favore che faceva a quelli che desideravano fumo e che non sapevano dove procurarselo, fumavano canne tutti quanti insieme. Finite le medie proseguì gli studi andandosi a segnare in quel liceo dove tutto forse ebbe inizio, non perché lì avesse trovato canne ma perché voleva allontanarsi dal suo quartiere di periferia per spostarsi in uno più centrale e poi quello era anche il liceo di suo padre.
In quella scuola stravolse completamente tutte le sue amicizie, le persone con cui aveva affrontato gli anni delle elementari e medie vennero completamente tralasciate, quasi scordate, sostituite da quella ciurma di personaggi con cui iniziò poi a fare graffiti ed altro.
La sega a scuola che non aveva mai sperimentato durante gli anni delle medie per gli anni delle superiori divenne un “Must”, le mattine che la scuola veniva marinata erano innumerevoli rispetto a quelle in cui si entrava sino al punto in cui poi si andasse a rischiare la bocciatura, cosa che infatti in seguito non si fece mancare.
La mattine spesso venivano occupate con l’attività più redditizia che avessero inventato, almeno durante i primi due anni di ginnasio, ed era qualcosa di veramente geniale e perverso, si andava tutti insieme a fare i così detti “Palazzetti”.



L’attività dei palazzetti era scaturita dalla possibilità di potersi travestire da scout della chiesa, visto che molti dei suoi nuovi amici avevano militano tra le loro fila per così dire, quindi ci si metteva un cravattone verde e giallo intorno al collo e si entrava in chiesa per andare a rubare più opuscoli e foglietti possibili perché da lì a breve ci si sarebbe introdotti all’interno di condomini per chiedere soldi porta a porta millantando di raccogliere donazioni in favore di missionari e poveri o quant’altro gli venisse in mente, ad ogni banconota ricevuta loro ricambiavano con un opuscolo che come sempre non centrava niente con l’argomento per cui dicevano di raccogliere denaro, poi il tutto veniva condito con una dose di sfregio e vandalismo becero.
Gli “sfregi” così definiti consistevano in una serie di azioni deplorevoli ma molto divertenti, se non altro per loro, si iniziava col pisciare e cagare a turno negli ascensori del palazzo, sotto natale invece, arrivati all’ultimo appartamento in successione tra i piani, dopo aver ricevuto i soldi dall’inquilino di turno, a quest’ultimo gli venivano sparati Magnum(botti di capodanno) all’interno della casa con lui ancora presente e incredulo  sulla porta aperta, inutile dire che la colluttazione scattava ogni volta; ma la cosa che lui preferiva era raccogliere dai pianerottoli i vasi e portarli all’ultimo piano per lanciarli dalla tromba delle scale, la cosa esilarante era che ovviamente poi bisognava riscendere e fare a botte con i coinquilini del pian terreno perché accorrevano fuori dalle abitazioni per via dell’incredibile boato e vedevano questa folla di bambini/ragazzi urlanti che correvano giù di corsa per le scale.
I palazzetti erano redditizi si guadagnavano soldi con cui poi si andava a comprare il fumo da usare durante tutto l’arco della mattina.
Da lì a breve si iniziò ad uscire il sabato sera ed ad andare a quelle feste dove erano sempre più spesso ospiti indesiderati, infatti spesso ci si doveva imbucare scalando un balcone o magari ricattando qualcuno che stava all’interno per farsi aprire il portone del palazzo e poi la porta. Erano indesiderati soprattutto perché poi all’interno dell’appartamento le azioni di cui si macchiavano andavano a seguire molto l’iter perverso dei palazzetti, si rubavano vestiti e videogiochi, si scriveva con i pennarelli sulle pareti dei salotti e camere, si otturavano vasche da bagno con carta igienica le quali venivano poi riempite di piscio e cacca, la lista degli sfregi era tra le più varie.
Lui e il suo gruppo di amici in quegli anni non erano affatto visti di buon occhio tanto che delle volte si andarono a rischiare anche denunce.
Durante quegli anni la scena dei rave romani era al suo apice, quelli erano gli anni della Fintech di Castel Romano, quindi poi passato il periodo delle feste in casa si passò al periodo delle feste illegali. Ogni fine settimana era costretto quasi a scappare di casa anche perché non si usavano ancora tanto i cellulari e così i suoi genitori lo perdevano di vista per un lasso di tempo molto lungo per un ragazzo di appena 14-15 anni. Ai rave iniziò il periodo delle droghe sintetiche acidi, Trip, anfetamine, Speed, MDMA e pasticche, questi erano gli ingredienti con cui condire il sabato sera e la domenica mattina. I rientri a casa la domenica a pranzo o nel primo pomeriggio erano degli impatti micidiali, il ritorno in società e il ritorno in famiglia era un qualcosa di veramente pesante, si ricordava le volte che dimenticava le chiavi di casa e di conseguenza non poteva sgattaiolare in camera a dormire di corsa e veniva la madre ad aprirgli la porta… “Guarda che faccia  che hai!, Guardati fai schifo!, Ma non ti vedi! Non ti si può guardare!, Dove sei stato!”… Il suono di quella voce e di quelle parole pensava che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Il rapporto con sua madre era sempre stato dei migliori, ma da quegli anni in poi si andò sempre più incrinando, anche se durante quelle stagioni e il periodo che ci riguarda più da vicino in realtà non avessero mai smesso di volersi bene e di riuscire a passare anche dei momenti di estrema serenità. Spesso capitava infatti che quando tutta la famiglia si riuniva insieme a tavola per alcuni istanti ci si dimenticasse di tutto il disastro alle spalle e si ritornava come d’incanto a quegli anni più spensierati. Per quanto le due parti siano divenute poi avverse, lui e la madre sono sempre stati veramente molto simili, il modo di parlare, il modo di scherzare e il modo di fare battute si somigliavano molto e del resto poi si poteva anche notare quanto lui fosse il ritratto sputato della madre al maschile con giusto qualche vizio in più.
Per quanto spericolato e infervorato nelle sua imprese malsane, non sopportava chi dei sui amici trattasse male i genitori in modi denigratori o chi addirittura li caricava di  tutte le cause dei loro mali, aveva sempre avuto una sorta di etica in cui sapeva che i suoi genitori avevano ogni qual volta ragione e di conseguenza difficilmente si permetteva di ribattere quando veniva sgridato, d’altro canto pensava che di sicuro erano loro a soffrirne in modo molto più evidente del suo, quindi non vedeva motivo per il quale dovesse anche stare a discutere di cose e cause di cui era il solo e unico fattore scatenante.
Gli episodi che i rave gli riportavano alla mente erano veramente innumerevoli, anche perché gli anni dei rave furono lunghi abbastanza e non passarono di moda così alla svelta, di sicuro lo accompagnarono per tutti gli anni delle superiori. Dai rave romani, si passò ai rave in giro per l’Italia, soprattutto al nord, poi l’estate e durante le feste natalizie con i capodanni si partiva anche per i Teknival all’estero e là le feste duravano anche settimane di filato, nascosti in capannoni abbandonati o in qualche valle riparati dal bosco, Spagna, Francia, Olanda, Inghilterra e Germania. Erano gli anni dell’InterRail, con pochi soldi ti facevi un biglietto per girare indisturbato in più aree dell’Europa pagando a prezzi ridotti quei treni che non erano completamente gratuiti, un po’ di soldi da parte dei genitori, un po’ li mettevi tu e si partiva carichi di Ketamina e spesso anche con pasticche e fumo. Ogni Teknival equivaleva ad una sosta con smercio di stupefacenti all’arrivo e durante e rifornimento di nuovo alla partenza, perché poi ti sarebbero serviti a sopravvivere durante il viaggio. Il rischio c’era, si passava molto spesso in tante stazioni ma lui in quel periodo preferiva vendere Ketamina proprio perché ancora non era classificata come stupefacente, quindi dal punto di vista legale non eri perseguibile, tutt’al più un foglio di possesso di farmaco senza ricetta.
Durante gli anni ’90 si stava sicuramente meglio, leggi meno pesanti e poi c’era ancora la Lira fedele compagna nei più bei ricordi di ogni italiano. Con in zaino una padella, un fornelletto da campeggio e qualche scheda telefonica per grattare(poi le schede italiane sono sempre state le migliori invidiate da tutti), ti potevi permettere una bella vacanzona di un mese in giro per il continente senza troppi pensieri. Spesso si dormiva per strada quando il luogo e il tempo lo permetteva, in ogni paese in cui entravi dovevi iniziare a rifarti tutti i conti per il cambio, tutto costava meno e tutti sapevano meno, i rave non erano visti ancora così tanto di cattivo occhio, i cellulari non erano rintracciabili e poi chi più ne ha più ne metta, di sicuro ci si poteva divertire più di quanto non lo si possa fare adesso, ma poi come tutto d’altro canto anche gli anni dei rave pian piano finirono, la scena si andava sempre più diradando e le persone dei rave che lui frequentava anche un po’ alla volta smisero sempre più di andarci e così dai rave poi si passò agli afterhours, discoteche e Crack.
In questa rapida successione d’eventi ricostruiva quella mattina il suo percorso legato al mondo della droga giovanile, tralasciando il fatto che intervallava il tutto con dei periodi di writing serrato come valvola di sfogo dalla droga. I periodi che decideva di allentare un po’ la presa dalle dipendenze si dedicava anima e corpo allo scrivere, ai treni, pennarelli, metropolitane e Roma.
Stava iniziando a tornare indietro con la mente ancora una volta quando un suono lo interruppe d’un tratto, la chiave stava girando e la porta di casa si stava aprendo, sua madre era tornata a casa come al solito per il loro pranzo tète a tète.
-        Ah mà? Sei te? –
-        No, è ‘a polizia! –
-        Ahahaha! E sì, ce mancano pure loro… -
-        E infatti tanto noi non ci facciamo mancare niente! –
-        Madò! Sei monotematica però… -
-        Ah, sarei io quella monotematica ve? –
-        Mmmmmm, che palle! Com’è andata oggi? –
-        Come ieri e l’artro ieri, invece te che hai fatto stamattina? Te sei appena alzato? –
-        No, veramente me sò alzato già da ‘n po’… -
-        E immagino che sarai stato in miniera, apparecchia va che io mi cambio, ho preso la carne. –
-        Bona! Vabbè, dai vado ad apparecchià… -.

sabato 16 novembre 2013

É Tutto a Posto.

Capitolo Sei.

Amara Sorpresa.


Le ruote sbattevano tra di loro, buttate dietro al furgone, facevano rumore, ma era un rumore piacevole per le loro orecchie. Rumore di vittoria, rumore di successo. Le mani lerce, sudice di grasso e di sporcizia erano entrambe sporche. Dovevano lavarle. Dirigevano verso Santa Silvia una zona nei paraggi di via Portuense. Guidavano verso il mercato alla ricerca di una fontanella. Volevano lavarsele tutti e due. Erano così sporche che era passato molto tempo dall’ultima volta che avevano potuto poggiarsele addosso. Il nasone spruzzava acqua tutt’intorno, gli schizzi riempivano di pois scuri le loro scarpe. Messe le mani sotto il gelido flusso d’acqua, ci vollero varie strofinate prima di vederle tornare ad un colore sufficientemente pulito, normale. La sporcizia scivolava via nella fessura nel suolo, scivolavano via così quelle poche tracce che li collegavano al lavoro fatto durante la notte. Un prurito tremendo lo affliggeva ormai da diversi minuti. Il sole con i suoi raggi stava ormai già illuminando tutti i palazzi intorno a loro, al mercato si iniziavano ad allestire i banconi. Non resisteva più, doveva assolutamente grattarsi, e lo fece. D’un tratto la sua faccia sbiancò ed  una smorfia  di stupore e domanda si poggiò violentemente su di lei. Grattandosi il didietro, alleviando il violento prurito si era spiacevolmente accorto che decisamente c’era qualcosa che non andava. Iniziò a fare mente locale e partì con un check up personale. Si sbatteva le mani addosso, rovistava e tirava fuori tutto ciò che aveva nelle tasche. C’era qualcosa che mancava all’appello. Precisando che per lui il check up consisteva nel controllare se avesse con se chiavi, portafoglio con soldi, cellulare e documenti, si era accorto che qualcosa tra queste era scomparsa, qualcosa non tornava all’appello. Il portafoglio! Il portafoglio con i soldi, documenti e ketamina non c’era! Era sparito! Come cazzo era successo? Non gli sembrava vero, nell’arco di un secondo i suoi pensieri iniziarono a bussare alla porta della preoccupazione, la preoccupazione più buia. Le macchine che avevano aperto erano innumerevoli, le volte che avevano dovuto correre anche. Il panico iniziò a farsi più visibile nel momento in cui comunicò la spiacevole notizia al compagno  che non fece tardare una serie di insulti per l’amico, insulti che di certo non lo stavano aiutando assolutamente. Immediatamente risalirono in macchina e si diressero verso tutte le auto che li avevano visti introdursi al loro interno nel corso della notte. Le scuole iniziavano ad aprire i cancelli, i negozi tiravano su le serrande e loro dovevano tornare su tutti i luoghi delle loro malefatte, sotto gli occhi dei passanti freschi e riposati dopo il riposo notturno. I mille frammenti di vetro scricchiolavano e stridevano sotto i loro piedi e sederi quando poggiavano su di loro, le auto ne erano ricoperte. La gente sui marciapiedi li osservava mentre imprecavano ad alta voce facendo finta di essere i diretti interessati e proprietari delle vetture danneggiate. Il numero delle macchine diminuiva di volta in volta dopo che le visitavano di nuovo una ad una, ma niente da fare, il portafogli non saltava fuori. Qualcuno doveva averlo già trovato e adesso molto probabilmente una volante della polizia si dirigeva verso casa sua con i suoi genitori ancora a letto a dormire. Il giro fatto a ritroso era terminato e non aveva dato esito positivo.
-        Che cazzo faccio mò?-
-        Non so veramente che ditte, che voi fa? Dimme te.-
-        Eccheccazzo ne so io, già me vedo que’e facce da cazzo davanti a mi padre che je chiedono ndo sto…-
-        Senti a sto punto me sa che è mejo se te porto a casa-
-        Naa, io così nce torno mica… Senti che faccio, cori vola ar commissariato a piazzale dea radio che me vado a fa na bella denuncia…-
-        Dici? E se quelli so già nnati?-
-        E se quelli so già nnati me la pijo n der culo, e scatta a villeggiatura… Però se non lo hanno trovato, je dico che quarche fijo de na mignotta me lo ha fottuto e me tutelo a mestiere…-
-        Fa come te pare, io te ce porto, daje nnamo de corsa…-
Il furgone sfrecciava, slalomando tra le altre macchine in fila, correvano verso il commissariato e lì lui avrebbe scoperto in prima persona se il fato gli era stato avverso più di quanto non lo fosse già stato.
Il furgoncino si accostò al bordo della strada i due si scambiarono un’occhiata che non presagiva niente di gradevole.
-        Ahò io vado, me sa che te forse è mejo se te dai, non se sa mai che questi vengono pure a vede se sto co qualcun altro…-
-        Daje, n bocca al lupo allora-
-        Crepasse sto stronzo de lupo, ‘ccisua!-
L’amico gli sorrise e con un cenno della testa lo congedò. L’altro adesso con aria cupa si avvicinava alla svelta un passo dietro l’altro verso il portone del commissariato. Prima di entrare si accostò ad un secchione dell’immondizia e senza farsi notare da anima viva poggiò il resto degli stupefacenti, nascondendoli, non voleva portarli con se. Pensava a quanto fosse stronzo. In più d’una occasione i suoi cari glielo avevano fatto notare negli ultimi tempi ma era proprio in questi momenti che se ne rendeva pienamente conto.
Avrebbe seriamente voluto darsi una botta di roba prima di entrare, ma decisamente non era quello il momento per fare certi pensieri, doveva inventare la storia da raccontare. In men che non si dica aveva fissato i punti cardine del racconto, ora si sentiva più sicuro. Il sipario si stava alzando e i riflettori erano puntati tutti su di lui. Era la stella di quello show e doveva brillare come non avesse mai  fatto prima.
Il citofono suonò.
-        Sono qui per fare una denuncia di smarrimento o di furto non ne sono proprio certo…-
La porta si aprì e si richiuse alle sue spalle. L’agente all’entrata indicò dove fosse l’ufficio che gli serviva. Salì le scale fino al secondo piano, ufficio denunce. Bussò alla porta una voce sgraziata rispose acconsentendo all’ingresso. Girò la maniglia e si affacciò sulla camera. Dentro sedevano due poliziotti alle rispettiva scrivanie. L’ufficio era molto squallido, grigio e i poliziotti al suo interno non aiutavano a dar colore con quelle facce. Le scrivanie era colme di pile di fogli fotocopiati, lastre bianche ricche di scritte nere, erano ovunque, sembravano quasi come colonne per quanto erano alte. Gli agenti lo inquadrarono subito male con lo sguardo, analizzandolo da cima a fondo. Il più grosso dei due gli fece cenno di sedere. Lui s’accomodò sulla sedia posta di fronte alla scrivania e iniziò la recita.
Quella sera era stato prima a Trastevere a cena, specificando il nome del ristorante ma fino lì tutto bene, dopo il pasto serale aveva deciso insieme alla sua ragazza ed ad un’altra coppia di andare a ballare in discoteca e proprio lì dopo l’ingresso e dopo aver pagato l’entrata e la seconda consumazione si era visto sprovvisto del suo portafogli nero di pelle, contenente 200 euro e documenti, tra cui patente, codice fiscale e patente B di guida. Date le generalità incrociò le dita e il destino volle che non risultasse nulla. Il computer non dava nessun tipo di riscontro. Nessuno aveva denunciato il danneggiamento di una macchina o furto di ruote menzionando il suo nome. Nessun reato lo riguardava ne da lontano, quanto meno da vicino, il sorriso già stava tornando ad arricchire le sue guancie bianche. Firmati tutti i fogli e carte varie uscì vincitore dal commissariato dopo soli pochi minuti, arricchendo quelle pile di fogli simili a  colonnati. Riaccese il telefono comunicò a casa che stava ancora in giro e che stava per rientrare,  ma non sarebbe rientrato se prima non avesse di nuovo visto Sonia. Chiamò un taxi. Il taxi arrivò e salì.
Il taxi percorso il tragitto da lui descritto si parcheggiava sotto casa di Sonia, sceso raccomandava al tassista di aspettarlo, e che entro breve sarebbe sicuramente tornato, pagò la prima parte dell’importo e si diresse verso il portone che lo divideva dal premio che sentiva d’aver meritato dopo tutto quel terribile trambusto imprevisto.
In quattro e quattro, otto raccontò la vicenda alla ragazza che non potè che mettersi a ridere.
-        Tu sei tutto matto!-
-        No, io so scemo proprio!-
Si scambiarono un bacetto e risalì sul taxi dopo aver sceso le scale del palazzo.
Si era accomodato sui sedili posteriori in pelle della Mercedes bianca che lo scarrozzava per la città. Guardava fuori dal finestrino mentre l’eroina gli tornava in circolo e lo cullava in quel limbo provvisorio che amava tanto. Guardava i genitori in ritardo affaccendati con i bambini piccoli da portare a scuola, guardava la gente comune che si dirigeva sempre più distrutta verso il lavoro, il lavoro di una vita. Queste scene lo facevano riflettere e pensare ad un futuro in cui lui si sarebbe dovuto trovare in quelle situazioni, niente di più lontano per lui in quel momento, con la vita che conduceva. Un giorno prima o poi tutta quella giostra che era la sua vita sarebbe dovuta finire, ma in che modo? Non ne aveva idea. Lasciava correre le giornate, e scorrere il tempo e questo lasciarsi andare lo faceva sentire sempre più diverso, diverso da quella che era la società normale. Fingeva e si costringeva a voler passare per uno di loro, ma era completamente consapevole del fatto che non era assolutamente come loro. Viveva due vite, due facce della stessa medaglia, il giorno lo vedeva composto nella farsa di una faccia pulita e tranquilla, ma la sera quella faccia era stravolta dalle situazioni, dalle persone  che frequentava e dalla droga che assumeva. Il circo degli eventi, era così che immaginava la sua vita, come un circo fatto di conoscenze, di numeri, cifre, di polveri e di racconti, tanti racconti. I racconti delle sue vicende avevano accompagnato le serate di molte persone, sapeva intrattenere il pubblico, il suo pubblico, il suo show. Viveva in un film? Sua madre era convinta che ormai fingesse una parte, era diventato un personaggio, ne era sempre più certa. Per il genitore ovviamente era così, perché questo vedeva solamente la parte diurna di lui, invece quella celata, la parte nascosta non la viveva mai dal vivo, ne poteva conoscere giusto gli strascichi, strascichi sempre più frequenti che venivano a minare la tranquillità dell’altra identità parallela, quella che conduceva a casa e in famiglia. Le denunce, i pericoli, le risse, le fughe, i treni, le scritte, la droga e i soldi, per quanto cercasse di nascondere, venivano sempre più allo scoperto. Non era possibile gestire questo flusso incontrollabile di eventi che gli turbinavano contro portandoselo via, portando via la persona che era sempre stata prima di tutto questo. A casa non si viveva più bene, il pensiero di quello che poteva fare quando era fuori in giro, turbava tutto il nucleo famigliare, le preoccupazioni di uno si riversavano sull’altro e quelle dell’altro su l’altro ancora, l’unico che non viveva poi così tanto questo supplizio era proprio lui perché a casa non ci stava praticamente mai. Usciva il giovedì dopo pranzo e tornava anche il lunedì sera delle volte. Letteralmente spariva, si eclissava, ovviamente si eclissava, per il fatto che non poteva svelare le condizioni in cui sempre più spesso versava. Si nascondeva, saltava dalla casa di un amico a quella di un altro, in un continuo via vai senza fine. Il tutto sembrava veramente essere senza fine.



Si era addormentato, il troppo pensare lo aveva stravolto. Il tassista proseguiva la sua corsa ormai senza le sue indicazioni. La macchina scivolava per le strade sull’asfalto bagnato, il riflesso delle finestre dei palazzi sul finestrino sembravano guardarlo. Quelle persone, quei visi affacciati sui loro davanzali lo guardavano, ma restavano indifferenti, come molte delle persone che lo circondavano, nessuno di loro si interrogava sul perché di tanto odio verso la serenità, di tanto odio verso una vita come le loro. Era solo, sempre più solo in un oblio di confusione. Quando riaprì gli occhi, le prime gocciarelline di pioggia si stavano posando su quel finestrino che rifletteva il fantasma di una vita per lui così distante. Si guardò intorno non capiva dove era. Poi riconobbe il colore inconfondibile del tetto del suo palazzo, si diede una scrollata e si riacciuffò. Il tassista comunicava il prezzo della corsa, che lui non si fece mancare di pagare. Il taxi l’aveva riportato a casa. La sua macchina era ancora in giro, pensò che la sarebbe andata a riprendere in un secondo momento, se ne era completamente scordato. Salutò il tassista, aprì il portone e salì le scale verso la sua dimora. Ancora una volta era tornato, tornato alla base sano e salvo.
É Tutto a Posto.

Capitolo Cinque.

Cerchioni in Lega.


Soffiava, soffiava a più non posso il vento che si abbatteva sul portone del palazzo. La notte era calata, gelida, fredda, portatrice di idee nefande e di conseguenze non più tragiche di quelle già passate. La notte lo portava a fare a cose che neppure lui stesso ben capiva, era coma se fosse stregato. Nel momento in cui il sole smetteva di splendere alto nel cielo, i suoi pensieri, e le sue buone idee venivano nascoste dal buio, un buio sempre più presente, più costante, più denso, un buio che faceva impallidire anche la più forte delle luci.
Il portone s’aprì e la sua figura infreddolita s’affacciò sulla strada. L’aria gelida lo fece irrigidire. Veloce si spinse verso la macchina, sentiva freddo. Entrò dentro la vettura, accese il motore e mentre aspettava che si scaldasse, cercava il cellulare nelle sue tasche piene di roba.
Lo schermo del telefono segnava molte chiamate senza risposta, nell’elenco c’erano tanti numeri che risultavano sconosciuti e oltre a quelli c’erano tutti gli altri che conosceva.
Odiava vedere tutte quelle chiamate senza risposta, non lo facevano stare tranquillo, erano la testimonianza del fatto che prima non avesse voluto e potuto rispondere, testimoniavano una sua grande debolezza.
Lo avevano cercato le persone che avrebbe dovuto vedere, sapeva che aveva promesso che sarebbe passato nel pomeriggio a sistemare, ma non lo aveva fatto.
Non aveva chiamato nessuno e non aveva avvertito nessun’altro, questo faceva sembrare la cosa come se si stesse nascondendo. Non aveva voglia di raccontare la storia del lancio, sembrava il solito racconto del cane che mangia il quaderno con i compiti. Aveva preferito tardare, e nel mentre aveva rimediato un po’ di soldi per presentarsi l’indomani non a mani vuote, non amava raccontare storie strane, perché quelle venivano prese immediatamente per menzogne, ma comunque anche sparire non è che fosse la migliore delle scelte.
La sua forse non era nemmeno una scelta vera e propria, le sue azioni erano dettate dall’ebbrezza, non venivano ponderate più di tanto, semplicemente preferiva scordarsi a suo piacimento delle preoccupazioni che lo affliggevano almeno finchè non fosse tornato lucido.
Lo faceva innervosire questa cosa ma non poteva farci niente, così funzionava e così avrebbe funzionato per molto altro tempo ancora. La sua testa era gravida di brutti pensieri e tremende preoccupazioni. Buffi, buffi, buffi e ancora buffi era stato sempre così, ma prima era differente non spendeva tutto quel denaro per niente.
Nella sua testa si accavallavano sempre più pensieri gravi, il suo sguardo era ricolmo di un vuoto allucinato sempre più potente, più costante, non vedeva e non credeva più in un futuro in quei momenti. Pessimismo esistenziale. Il momento peggiore della giornata era quando tornava a casa e stravolto cercava di mettersi a dormire, ma non gli riusciva bene per il semplice fatto che nella sua testa si iniziavano ad accavallare numeri, cifre, conti che venivano ripetuti all’infinito fino al momento in cui crollava sotto il peso di una matematica che lo schiacciava e lo  faceva dormire male, malissimo. Aveva sempre amato poco la matematica, infatti come sosteneva anche suo padre di se stesso, loro erano uomini di lettere. In realtà anche questa era una delle battute del suo repertorio più scadente, quello farfugliante, quello sbiascicante, quello che con l’italiano e le lettere in realtà ha veramente poco a che fare!
Era vittima del suo stesso gioco, vittima di una non vita che lo torturava e che torturava tutte le persone che ancora gli volevano bene. Il punto era che sapeva perfettamente che cosa stava rischiando, ma allo stesso tempo era proprio quel rischio che amava tanto, una delle cose che lo faceva sentire vivo. Non passava attimo in cui non avvertisse tutto il male che produceva, il male che lo portava a fare tutto ciò che c’è di più sbagliato per un uomo.
Il rumore dei san pietrini bagnati per le vie del centro nei suoi momenti di solitudine e riflessione gli infondevano un senso di paura, legava quel rumore a tutte quelle notti in cui vagava per la città solo in macchina, solo con i suoi timori, pensieri, solo di fronte ad un destino che disegnava lui stesso con le sue mani. Il vizio, il piacere effimero, il piacere sintetico, tutto quello per cui viveva era questo, ogni suo guadagno ed ogni sua mossa ed azione era condizionata dalla ricerca di un qualcosa che evidentemente non serviva a niente.
La luce gialla dei lampioni lo accompagnava nel suo viaggio, la città di notte lo affascinava, lo stregava, gli faceva compagnia, il silenzio gli parlava all’orecchio, il rumore delle fronde degli alberi al Gianicolo piegati dal vento, lo scricchiolio dei passi delle poche ed ultime coppiette temerarie sotto la pioggia, anche se la luna non si affacciava dietro le nuvole lui ne poteva sentire l’influsso, come la marea anch’egli la pensava, la pensava come una compagna sempre lassù immobile ad osservarlo, splendete della sua pallida luce.
Pioveva e pioveva sempre più fitto e forte, i tergicristalli al massimo della velocità sembravano non servire a niente, era inutile il loro dimenarsi frenetico, si era concesso di fumare ancora qualche roccetta, di fumare una roccia ad ogni semaforo cui si fermava e fumare ad ogni semaforo lo metteva a dura prova, ogni tiro era un’ansia, una paura in più che gli si avvinghiava al cervello e alla testa. Pullulava il suo cranio di terrore e rimorso, ma ciò non serviva a fermarlo, anzi lo faceva continuare. La spirale lo faceva vorticare così velocemente che diveniva sempre più estrema e lui di quel girare e roteare amava ed odiava allo stesso tempo sempre di più ogni piccolo istante.
Le luci attraverso i finestrini sbiadivano sempre più, confondendosi in arabeschi disegnati dalla luce gialla tutt’intorno, offuscato era tutto quello che lo circondava, come quello che lo riempiva. Inalava e pippava ketamina ed ancora eroina, negli intervalli in cui non fumava dalla pipa.
Non si era reso conto che con la macchina si era praticamente fermato in mezzo alla strada, e le macchine che erano dietro di lui suonavano il clacson con sempre più insistenza. Dal semaforo dopo l’ultima sosta non era più partito. La sua testa ciondolava, quasi poggiata sul volante per quanto stava inclinata davanti. D’un tratto s’aprì lo sportello, uno degli automobilisti dietro di lui si era deciso a scendere e di prendersi tutta l’acqua che cadeva pur di dirgliene quattro. L’uomo che aprì la portiera  lo osservò, in primis pensò che si era sentito forse male, poi lo vide  stringere ancora in mano la pipa incandescente e fumante, l’espressione dalla preoccupazione cambiò immediatamente in minaccia e violentemente lo afferrò per la felpa e cercò di tirarlo fuori dall’auto. Appena in contatto il suo viso con l’acqua gelida piovana, spalancò gli occhi e per un secondo forse tornò in se od in ogni caso avvertì il pericolo, aggrottò le sopracciglia, girò la testa verso il nemico e senza pensarci due volte sbattè la pipa bollente in faccia all’avversario. Lo prese in un occhio, ed egli urlò in preda al dolore arretrando, tre passi indietro, passi che lo allontanarono dalla macchina, passi che offrirono la possibilità di fuga. Il ragazzo inserì la prima e partì di corsa. Lo slancio della ripartita fece richiudere lo sportello con un tonfo, la macchina slittò sul bagnato strusciando e andando a sbattere contro tre motorini parcheggiati sul bordo della strada che caddero tutti insieme. Strike! Immediatamente la vettura saliva la ripida salita e girò la curva perdendosi come un fantasma nella notte.
Ancora non focalizzava bene il fatto appena accaduto ma rideva, rideva a più non posso si stava divertendo troppo. Quel tizio era un omone veramente grosso, calvo e con una folta barba nera, se era incazzato prima per essere sceso ed essersi bagnato, ora doveva essere veramente furibondo, ma questo a lui non interessava perché era riuscito a scappare ed era già molto lontano. Poi accecato e con tutta quell’acqua che veniva giù era impossibile che avesse potuto prendere la targa, in poche parole era salvo.
Ad un tratto il suo telefono iniziò a squillare, chi poteva essere a quell’ora? Non riusciva a ragionare e non voleva sapere chi fosse così neanche tirò fuori dalla tasca il cellulare, alzò il volume del suo stereo e spinse l’acceleratore correndo a più non posso. Poi tornando a riflettere per un momento si ricordò di Marco e prese il cellulare in mano, non era Marco, era Sadok il suo amico tunisino, amico e compagno di mille disavventure, che lo stava cercando. Marco invece era sparito, non aveva più sue notizie, il telefono era spento ma non era grave, doveva aver trovato qualcos’altro da fare o magari semplicemente si era rotto di stare in giro con quel tempaccio e se ne era tornato a casa. Riformulò così il numero di Sadok e lo chiamò, anche il suo amico aveva lasciato la propria ragazza a casa, ed essendo ubriaco non voleva andare a dormire, stava in giro con il furgone del lavoro come tutte le notti non avendo fissa dimora in quel periodo della sua vita, come di norma non aveva riportato il furgone in magazzino e passava da un bar all’altro guidandolo per le strade della città senza metà.
Si parlarono e si diedero un appuntamento al Gianicolo, uno dei loro ritrovi notturni preferiti. Il “Gianicolo”, per chi non ne fosse al corrente, è un punto abbastanza alto della città di Roma che sovrasta Trastevere, con la più bella vista che si può avere della capitale. Proprio lì c’era e c’è ancora un chiosco aperto anche di notte, perché gestito da dei Bengalesi che dormono all’interno dello stabile senza mai lasciarlo incustodito e che i due amici puntualmente andavano a svegliare per soddisfare il loro grande bisogno di sete. In effetti pensandoci bene  era solamente per loro che era aperto tutta la notte, un altro qualunque dei passanti avrebbe considerato il chiosco chiuso, dato che era tutto spento. Non credo proprio che i bengalesi avessero mai gradito la loro compagnia durante la notte.
Sadok beveva molto ma non si drogava parecchio, il suo tempo l’aveva fatto, quando anni prima andavano a ballare insieme ai rave illegali, erano gli anni dei trip, LSD, speed e pasticche, gli anni delle droghe sintetiche.
Si incontrarono, si abbracciarono e ridevano raccontandosi le rispettive giornate. Sadok lo conosceva bene, meglio di altri e ancora si stupiva nel veder l’amico drogarsi in quel modo. Era una macchina insaziabile, non smetteva mai e non dava segni di voler smettere, ma in tutto ciò la sua mente a parte nei momenti più estremi sapeva rimanere lucida, ed era capace ancora di formulare pensieri profondi e secondo lui intelligenti. Bevute le loro rispettive tre Ceres a testa erano decisi di andare a fare un giro. Un “giro” dei loro comportava un qualche divertimento di genere illegale improvvisato sul momento. A Sadok quella notte servivano dei cerchi in lega per la propria auto, aveva deciso così e così partirono alla ricerca, e a scapito di qualche povero ignaro li avrebbero rimediati.



Preso il furgone di Sadok, suo per così dire, e lasciata la Golf si allontanavano dal Gianicolo e partivano per una ricerca che vedeva protagonista il quartiere di Monteverde Vecchio e Nuovo. Conoscevano bene quelle vie e vicoli, era lì che erano cresciuti e in quelle strade si sentivano più sicuri, così che potessero agire con tranquillità. Per prima cosa servivano almeno due crick, che non dovevano essere loro, perché nel caso fossero dovuti scappare potevano abbandonarli senza perdere niente di loro proprietà. Quindi con delle pietre o con delle semplici pedate scoppiavano i finestrini laterali di vecchie auto che non avevano antifurto, i laterali ovviamente perché il parabrezza era in vetro resina e di conseguenza non scoppiava, eliminato il finestrino aprivano il cofano e portavano via i crick, elementi necessari per proseguire il lavoro.
La prima parte del piano, la più veloce e meno difficile era riuscita perfettamente, non c’erano stati problemi. Avevano quello che gli serviva per il momento, ora c’era da fare il resto.
Giravano, giravano e giravano ancora, lentamente al buio e sotto una leggera pioggia. La pioggia era propizia per il semplice fatto che c’era meno gente in giro, poi a quell’ora non c’era proprio nessuno. Finalmente l’avevano vista, la macchina che stavano cercando era proprio davanti a loro, una 600 Fiat di quelle nuove! Ora come volevasi dimostrare il tasso alcolico doveva essere molto elevato, perché chiunque a questo punto si sarebbe chiesto perché rischiare la galera per andare a rubare dei cerchioni in lega da mettere su un’orrenda Fiat 600 azzurro metallizzato? La risposta è difficile da trovare ma diciamo pure che se mai doveste andare a farlo anche voi, vi assicuro che con loro vi sareste divertiti tanto.
Come due ombre scivolavano giù dal furgone e si avvicinavano alla preda. Mentre il primo svitava i bulloni, l’altro iniziava a posizionare i crick in modo che al momento giusto avrebbero potuto alzare la macchina e sfilare le ruote tanto agogniate. Ne avevano già tolte due, ora erano passati alla terza, quando ad un tratto dietro di loro si aprì il portone del palazzo. Sadok iniziò a ridere mentre correva con le ruote in braccio perchè l’altro nel frattempo non si era accorto di niente. Quando l’altro tirò su la testa vide Sadok dall’altra parte della strada che si sbrigava a caricare le ruote sul furgone, mentre sul suo lato del marciapiede c’era un signore anziano che ancora non aveva afferrato cosa stava succedendo. Osservava la macchina poggiata su tre crick. Solamente un altro istante e il lavoro sarebbe stato portato a termine perfettamente, invece furono costretti a prendere la terza ruota di corsa e scappare solo sotto gli occhi dello spettatore incredulo. Dopo la sudata dovevano iniziare di nuovo a cercare un’altra auto come quella. Mentre Sadok guidava il furgone cercando una nuova auto da colpire, lui si divertiva a crepare i parabrezza delle auto parcheggiate al bordo della strada, tirando con violenza i bulloni, messi in tasca, dal finestrino in corsa. Ridevano e quanto ridevano, insieme si divertivano tantissimo, un divertimento che andava a discapito di molti altri. Guidando Sadok fumava una canna che aveva tirato fuori da un pacchetto di sigarette, l’aveva girata nel pomeriggio e se l’era dimenticata per quanto era ubriaco. L’altra macchina era stata avvistata, a dir la verità erano due le macchine avvistate, una la 600 mentre l’altra che gli stava di fronte era una Panda, perfetta data l’assenza di antifurto. Inoltre insieme al crick, fortuna loro, dopo averla aperta avevano trovato anche il portafoglio del malcapitato padrone che oltre a sessanta euro conteneva al suo interno nella taschina delle monete un blister vecchio e logoro, ma con ancora ben quattro Roipnol dentro. Gioia, felicità e scalpore. Mangiarono immediatamente gli psicofarmaci senza pensarci due volte e ripartirono all’attacco, proseguendo il lavoro. Il padrone dell’automobile molto probabilmente doveva essere un altro tossico o tutt’al più un povero malato di testa, loro preferivano credere all’ipotesi del fattone, sicuramente si sentivano molto meno in colpa vedendola in quel modo, anche se poi di colpa non è che ne sentissero tanta in generale. Il viso del nostro amico era ormai deformato dalle sostanze, la bocca restava spalancata con una mascella sempre più calante e gli occhi erano sempre più chiusi e sempre più rossi.
Nonostante tutto, i due erano di nuovo impegnati nello svitare i bulloni e nel sollevare la macchina. Veloci, erano molto veloci. In men che non si dica la ruota veniva di nuovo sfilata e caricata all’interno del furgone da battaglia, se il principale di Sadok avesse saputo che prendeva il furgone della ditta tutte le notti di sicuro non avrebbe tardato a licenziarlo, ma fortuna per lui, il magazziniere che guardava anche il garage della ditta era uno tranquillo, quindi gli reggeva il gioco, ricevendo in cambio un po’ di fumo.
Stavano ripartendo, quando il tunisino disse all’altro di riscendere per riprendere il crick, perché gli sarebbe di sicuro servito ancora, lui non se lo fece ripetere due volte, aprì lo sportello e via giù in strada un’altra volta. Girava la manopola rapidamente, ma lo strumento che era stato messo male da principio si sfilò di scatto da sotto l’auto e questa cadde in terra facendo un grande rumore. L’antifurto iniziò a suonare, mille finestre si illuminarono e mille facce si affacciarono tutte insieme. Ma gli occhi assonnati dei condomini non furono così svelti da poter veder la sagoma del mezzo che si allontanava sotto gli alberi, ne per sentire le risa che si trascinavano dietro i due pazzi per le strade deserte della capitale. Al bordo della strada, vicino al marciapiede rimaneva la sventurata macchina, priva di una ruota, che piangeva come un bambino a cui erano state tolte le caramelle. Il rumore dell’antifurto era sempre più distante come il pericolo, ancora una volta era andato tutto per il verso giusto, o almeno per adesso così sembrava. La mano di Sadok si staccò dal volante e si poggiò sullo stereo che venne acceso, il laser colpì il Cd e la musica iniziò, avevano finito, si stava facendo giorno e potevano andarsi finalmente a riposare.