sabato 16 novembre 2013

É Tutto a Posto.

Capitolo Tre.

Sono Sempre io?


Nella sua testa echeggiava una domanda. Sono sempre io? Era questo il quesito che ormai si poneva ogni tanto. Tutto quello che viveva, tutto quello che era costretto a fare, gli consentiva di conservare la sua identità? Era diventato qualcosa di diverso da quello che era una volta? Il suo modo di agire, di pensare era sempre quello di allora o spiccavano differenze? Sapeva che non si può rimanere immobili allo stesso punto per tutta la vita. I cambiamenti fanno parte del percorso di ognuno, fanno parte del proprio iter, i cambiamenti sono l’iter, ma i suoi che tipo di cambiamenti erano? Il cambiamento è bene e serve se migliora una situazione, ma se invece la peggiora? Come non si poteva riflettere almeno un po’ su quello che succedeva, lui ogni tanto lo faceva, ma il risultato finale delle sue elucubrazioni era che forse era meglio non concentrarsi eccessivamente e lasciar correre gli eventi. Con il tempo sarebbe cambiato qualcosa e sperava che il cambiamento sarebbe stato in meglio.
Il problema più impellente e che più lo opprimeva per come la vedeva lui era il fatto che non aveva il denaro sufficiente per coprire i debiti e se avesse continuato ad avere questo problema, prima del tempo non avrebbe potuto occuparsi degli altri problemi ancora. Il tutto si riduceva quindi al fatto che doveva prima risolvere i suoi intoppi economici. Per risolverli vendeva droga, questo era l’unico modo di guadagnare soldi rapidamente che conoscesse e che non comportasse rischi eccessivi secondo la sua ottica, lo faceva da non poco tempo e questo gli dava una certa sicurezza nel calcolo degli imprevisti e delle probabilità. Certo la rapina era un altro metodo che gli veniva spesso in mente, ma l’avrebbe presa in considerazione solamente se messo alle strette e nel caso avesse dovuto affrontare situazioni di tipo contundente o peggio ancor tagliente. Di questo passo non sarebbe più uscito da questo vortice. Il vortice diventava per lui sempre più normale e la normalità un vortice che turbinava intorno a lui in una moltitudine di sostanze, banconote e minacce.
Il tenore di vita a cui si era abituato, condizionato da un eccessivo facile guadagno per un ragazzo appena maggiorenne lo aveva completamente traviato, non voleva assolutamente prendere in considerazione il fatto che tutto quello spreco di soldi ed estremo consumo di stupefacenti prima o poi per un motivo od un altro avrebbe dovuto necessariamente terminare. Il lavoro non faceva per lui, questo pensava e studiava per modo di dire, negli ultimi anni il suo rendimento rasentava il ridicolo, ma non per questo avrebbe dovuto trovarsi un lavoro, in fin dei conti lui i soldi sapeva bene come guadagnarli in altra maniera. Finchè non avesse avuto problemi di tipo legale che gli impedissero di continuare avrebbe continuato, perché no? L’università con calma sarebbe finita e i soldi sarebbero continuati ad arrivare. Era comunque una persona ancora piena di interessi amava il cinema, l’animazione, l’arte in generale, disegnava bene e gli piaceva dipingere, sapeva anche usare programmi di grafica che però si costringeva ad usare solamente per puro diletto.
Era anche un “writer” e l’unica cosa che talvolta lo staccava dalla dipendenza giornaliera erano i periodi che decideva di tornare a fare “Bombing”, in gergo graffitaro distruggere di scritte spray la città con i suoi relativi treni, autobus e metropolitane. Era un vandalo. Il writing lo faceva sentire vivo, l’adrenalina prima di entrare in un deposito, l’arrampicarsi sopra i palazzi, scavalcare le recinzioni, veder correre i treni con sopra scritto il proprio nome, rubare spray nei ferramenta erano tutte attività per lui abituali. Il “Writing” era per lui una delle poche valvole di sfogo, nei periodi più bui di solito impugnava gli spray per fuggire la tremenda desolazione che gli cresceva dentro.
Saltava quindi da periodi dettati da un reato così distruttivo come lo spaccio ad altri invece legati ad un reato che tuttavia lo aiutava a crescere a livello sia interiore che interpersonale. Quanto la droga lo portava ad isolarsi, tanto il dipingere lo portava a frequentare molte altre persone come lui, simili e con lo stesso hobby. Comunque sia con il passare del tempo e l’arrivo della dipendenza vera e propria anche questo diventava sempre più distante, gli stava scivolando via tutto il suo amore da dosso per finire a terra, risucchiato lontano dal suo controllo, lontano dai suoi pensieri. La droga in principio lo aiutava nella creazione delle opere e disegni, sembrava non dargli problemi, adesso invece era tutti i giorni e tutte le notti, un continuo. Senza sosta il suo naso non si fermava un momento. In  compenso non si era mai bucato in vita sua. Non lo aveva mai fatto, e non pensava di farlo. Fumava molta cocaina, quello forse era il problema più grande. Lo scoglio più imponente con cui combatteva. La bestia nera che lo portava a farsi debiti su debiti e che lo faceva nascondere alla gente. Lo faceva vergognare di se stesso, ogni volta che finiva di staccarsi da quella bottiglia incrostata di bianco, si chiedeva perché lo facesse. La risposta non sapeva trovarla. La sua dipendenza diventava visibile. Era in balia della droga. Ketamina ed eroina lo rilassavano, gli permettevano di sdraiarsi a letto e dormire. Sì dormire, ma un sonno sgradevole, pesante che non lo riposava. I suoi nervi erano sempre più tesi, le sue mani tremavano come la sua voce. E il suo sguardo schivava gli occhi della gente, si rendeva conto che non era normale e si sentiva osservato, diverso, sporco dentro. Gli veniva da piangere a volte, ma non si deve piangere, bisogna essere forti e resistere alle avversità, anche quando l’avversità più grossa sei te medesimo!




Ora batteva le chiavi della sua auto su uno dei tavolini del bar a Trastevere. Stava aspettando. Attendeva Marco, lì seduto fremeva di sapere se c’era qualche novità. Mille voci di persone gli confondevano
le idee, il  S. Calisto era uno dei bar più frequentati del rione numero tredici di Roma. Di certo la fauna che lo popolava era una delle più colorite, ma in ogni caso conosceva praticamente chiunque là dentro. “Romani de Roma” ed extracomunitari si mischiavano all’interno rendendo il locale molto variopinto. Che chiasso che facevano, una caciara insopportabile. Lui continuava a pippare. Stava fattissimo. Lo si vedeva chiaramente, ed i suoi pensieri erano offuscati. Troppo tutto e tutto insieme, ma insisteva nelle sue azioni antisalutistiche. Il bagno era lercio e puzzava, ma lui lo frequentava spesso, alternando amaro ed eroina in un mix estenuante. Attendeva l’arrivo dell’amico. Guardava all’esterno. C’erano persone di tutte le età che assaporavano alcolici e facevano canne, spinelli in continuazione, dando all’aria che si respirava un odore inconfondibile. Le guardie al S. Calisto chiudevano un occhio con lo spaccio, in fin dei conti giravano parecchi soldi da quelle parti, e una parte di questi arricchiva le loro tasche indubbiamente, non lo si poteva negare lo sapevano tutti. Solamente una coppia di poliziotti saltuariamente rompeva le scatole, così ogni tanto qualche ragazzino cretino veniva portato via e si passava la notte dentro al fresco. Logicamente lui non si metteva mai a vendere dentro il bar, al massimo si spostava nel vicolo lì vicino, dove poteva tenere tutto sotto controllo o almeno in parvenza. Aveva una bella clientela che spesso veniva a trovarlo. Prima di passare al bar aveva caricato dieci grammi di merce al volo da un’amica sua, aveva fatto i pezzi lì da lei ed ora si era messo già a lavoro. Si vendeva bene oggi. Aveva già più di trecento euro in tasca. Le cose giravano per il verso giusto almeno per una manciata di minuti ed in più si era cotto due grammi. Cocaina fatta in rocce che squagliava nella sua pipa personale di metallo al bagno. Ogni tiro era uno scossone per il suo sistema nervoso e per la sua anima corrotta. Aveva già iniziato a fumare, non era bene, Claudia gli avrebbe telefonato e se ne sarebbe subito accorta, non era stupida, e conosceva cosa vuol dire fumare, fumava anche lei. Quando fumava cercava di non esagerare,  “non più di mezzo grammo in due” ogni volta professava, ma per lui era come non fumare, quindi come sempre alla fine era “ben più di mezzo grammo in due”. Il suo livello di soddisfazione era difficile da raggiungere considerato il fatto che con quel tipo di sostanza non si è mai soddisfatti a priori, in più ne era completamente assuefatto, quindi l’appagamento diventava un traguardo praticamente irraggiungibile. Era un tossico a tutti gli effetti. Gli piaceva la droga e lui piaceva a lei. Un binomio formidabile, con l’unico fatto che lui a lei dava molto, mentre lei a lui non dava niente se non problemi, debiti e strazio. Il dazio da pagare era sempre più alto ed il danno dannosamente costoso.
Marco in quel momento arrivò al bar e sedeva accanto a lui, aveva l’affanno ed un occhio nero. Si trovava nei guai, lo stavano cercando e più che altro sembrava lo avessero trovato. Anche lui necessitava soldi, e non pochi. Si trovavano sulla stessa barca dell’amico che colava a picco. Se da soli erano pericolosi in coppia diventavano più che tremendi. Stavano escogitando vendetta verso il nemico. Tramavano. Parlavano di cose molto cattive, come il film! Parlavano ad alta voce e nei bar anche i muri hanno orecchie. Marco era stato picchiato da quattro ragazzi insieme e non gli andava giù, se prima era nel torto ora si sentiva sulla sponda del fiume opposta. Un fiume di guai. Era un cane randagio e rabbioso che si leccava le ferite e il suo amico era dalla sua. Lui si stava mettendo in mezzo ad un altro impiccio e neanche ci stava facendo caso. Un altro di quegli impicci più che inutili, totalmente superflui come i peli di troppo per una bella ragazza.
<’Sti ‘nfami, ‘nfami fracichi, ‘n quattro!… pezzi de’ mmerda!>.
<’Ccoddinci!… ‘n ce vojo crede… davero però!… ‘n se sò regolati>.
<Li dovemo sfonnà>.
<Mò se ‘nventamo quarcosa damme retta!>
<Devono morì, li vojo vedè per tera cor sangue vero!>.
<Su questo n ce piove!… comunque senti, pe quell’artra cosa? Che hai sentito già? Novità? Dimme và, cambiamo discorso che è mejo>.
Marco si guardò intorno. Come per assicurarsi che non ci fossero orecchi indiscreti. Di poliziotti in borghese ce ne erano fin troppi, ma loro li conoscevano uno ad uno, troppe volte avevano visto gente essere portata via. Tutto ok! Il bar non presentava forze dell’ordine mascherate da comuni esseri umani tra la schiera di drogati alcolizzati e fatti. Potevano parlare anche se, sempre con attenzione.
<Tutto a posto r fumo è arivato.>
<Da paura quanno lo ‘nnamo a prenne?>
<Ce so ‘nnato io, sò cinque pe me e dieci a te, che dici?>
<Che sei bello! Me fai godè come na stronza!>
<Lo so che sò bravo!>.
<Più che bravo, sei ‘na sarvezza>.
<Quanno te lo vieni a prenne?>
<Domani verso pranzo>.
<Ma viè la mattina proprio, no?>
<Ah Mà. Sto già ‘ntrippato adesso figurate domattina… che voj che vengo prima de annà a dormì? Fresco come ‘na rosa, anzi bello come n fiore der deserto!>.
<Immagino, già te vedo!>
<Ahah… ahah… ahah!>. Che cosa si rideva lo sapeva solo lui. Non c’era niente da ridere, ma rideva uguale, d’altro canto stava ubriachissimo. Adesso si sentiva tranquillo c’era il materiale, c’era lavoro, ci sarebbero stati soldi. Dieci chili erano almeno tremila euro tondi, tondi. Poi aveva anche la cocaina, si poteva festeggiare come tutte le sere, tutte le notti e tutti i giorni. Ogni momento, ogni istante e pure ogni secondo al caso non si lasciava niente.
Driin. Driin. Driiiinn! Telefono. Claudia? No, cliente. Evviva, evviva!
Si alzò, infilò la giacca e uscì fuori camminando per lo stretto vicolo trasteverino. Lo chiamava “L’ufficio”. Diceva sempre che avrebbe fatto piacere a sua madre sapere che lavorava in ufficio. Simpatico! Veramente esilarante, lui sì che sapeva rendersi simpatico quando voleva.
Di fuori vendeva altri tre pezzi da 0,4 per la cifra di centoventi euro. Soldi, soldi, soldi chi ha tanti soldi vive come un pascià…
Continuava a bagnarsi, pioveva di nuovo ma non gli fregava niente, Si avvicinava l’ora del pasto, così per un po’ smise di scrackare (fumare Crack), altrimenti gli sarebbe mancato l’appetito.
Aveva deciso di tornare dalla sua “amica nemica”, ora aveva dell’altro contante da spendere. Spendere era uno dei verbi che più gli piaceva, come pure comprare.
<Ah Marchè!! ‘Nnamo accompagname da na parte! Che devo fa n giro, stasera se divertimo!>. Gridava al complice.
<Pure stasera?>. Marco con aria spaventata guardava l’altro.
<E che c’è de male, daje che pago io. A te che cazzo te frega, basta che c’hai ‘n pormone da buttà e ‘n core da mette alla prova. Ar resto ce penso io.>
<E’ quello che me spaventa!>.
<Non ce devi avè paura Marchè, che è tutto a posto!>. Ancora quella frase che riecheggiva tra il suo palato arrossato e la sua lingua bianca, pallida e secca inaridita dalla colombiana spettacolare che aveva rimediato ad un prezzo stracciato. Si ripartiva come tutte le volte, come sempre.
Non era più lui. Era qualcosa di diverso. Un riflesso della persona che era un tempo. Solo questo rimaneva. Evidentemente qualcosa di sostanziale era cambiato. La sostanza era evidentemente cambiata. Il cambiamento in sostanza era evidente. Era proprio così.

Nessun commento:

Posta un commento