lunedì 29 settembre 2014

Le Chiavi di Mamma.



Le Chiavi di Mamma.

Rovistava tra i vestiti della madre nell’armadio, scomponeva l’ordine delle cose facendo ben attenzione a come le spostava perché di lì a poco avrebbe dovuto rimetterle tutte esattamente dov’erano. Mentre rovistava furiosamente pensava alla madre, e a dove avrebbe potuto nascondere le chiavi dell’automobile. Giorni prima era stato fermato dai Carabinieri in un parcheggio abbandonato a ridosso del Raccordo Anulare. Gli arrivarono alle spalle e lui non se ne accorse perché molto impegnato nella sua attività. Incastrato il cucchiaio tra le fessure di una delle bocche per l’aria condizionata, continuava ad accendere e spegnere un accendino che non lo aiutava nella sua impresa. Non essendo un Bic l’accendino, ma bensì uno di quelli venduti dai venditori ambulanti ai semafori, iniziava a squagliarsi per il forte calore continuo scaturito dalla fiamma blu. Con una attaches muoveva il liquido ribollente nel cucchiaio e separava la bolla oleosa generata dalla cocaina. Nel mentre iniziava a soffiare per freddare il tutto in modo da poter far solidificare e poi estrarre la cocaina divenuta crack. Nel posacenere due sigarette fumavano copiosamente generando la cenere necessaria per fumare la dura roccia gialla. Finito il processo, aveva posto la maggior parte del sasso in una pipetta riempita insieme alla cenere e aveva acceso ancora l’accendino che ormai supplicava pietà sudando gocce di plastica sciolta da sotto la placca metallica. I polmoni tiravano e si riempivano di denso fumo bianco, le tempie cominciavano a pulsare ed il cuore a battere. Stava soffiando via il fumo quando con la coda dell’occhio avvertì qualcosa muoversi nello specchietto retrovisore. Girò la testa e notò una Gazzella dei Carabinieri che con moto lento si introduceva nel parcheggio. Di rimando buttò tutta la cocaina rimanente nella pipa e tirò, tirò con forza, i suoi occhi si spalancarono, le palpebre gli tiravano e scattavano sotto l’effetto del narcotico che aveva scatenato un momentaneo “tic” nervoso. Fece finta di niente e buttò tutto sotto il sedile del passeggero. Poggiò la testa al sedile e con fare irrigidito si stiracchiò fingendo di starsi a riposare in macchina, come se avesse appena finito di schiacciare un pisolino. Una sagoma scura si avvicinò alla macchina, preceduta dal rumore d’uno sportello che apriva e chiudeva, una mano avvolta in uno stretto guanto di pelle nera bussò al finestrino. Con un cenno della testa lui, assecondato da un’espressione sbalordita, chiese all’agente cosa volesse e lui di rimando con un gesto pregò l’altro di aprire la portiera e scendere dal veicolo. Scese dall’automobile.
- - Che fa parcheggiato qui?
- -  Ma niente, stavo riposando un pochino.
La voce uscì strozzata e tremolante. Il ragazzo cercò di presentarsi come meglio potesse.
-  -  Scusi e lei viene qua a riposare?
-  - Perché che c’è di male?
- - Qua le domande le faccio io. Prego fornisca patente e libretto. E’ sua l’automobile?
-  -  Sì, è la mia ma è intestata a mio padre.
Aperto il cruscotto presentò il libretto e poi la patente estratta dal portafoglio. Il carabiniere portò i documenti al collega ancora in auto pronto a fare gli accertamenti.
  -  Cosa stava fumando?
- -  Io? Niente…
- - Senta ha della droga con lei?
- -  No.
La conversazione durò ancora per molto, proseguendo con la perquisizione personale e del mezzo. Il carabiniere rinvenì un involucro di plastica contenente un rimasuglio di polvere bianca, classificata come cocaina, sotto uno dei sedili. Di conseguenza il tutore dell’ordine si vide costretto a sospendere la patente del ragazzo e a compilare un foglio di possesso e sequestro di sostanza stupefacente.



Era il fine settimana e i suoi genitori erano andati fuori Roma, partendo insieme al fratello. La ricerca continuava, dando esito negativo. Tutti i ripiani e i cassetti erano stati aperti e scandagliati, ma niente da fare, la madre era riuscita a trovare un posto talmente segreto che nemmeno lui fu in grado di scovare. Stava rimettendo ogni cosa al suo posto quando l’occhio gli cadde su di una fessura che rimaneva tra il cassetto delle camicie del padre ed il portacravatte. L’oggetto scintillava ed era di metallo, aveva trovato un mazzo di chiavi. Erano sì chiavi e d’automobile, ma non erano le chiavi della madre. Il fratello aveva da poco acquistato una Mini Cooper presentando le buste paga del lavoro. Preso in mano il mazzo, fu aggredito da un forte senso di colpa, non avrebbe mai voluto rubare quell’auto ma data la particolare situazione, e dopo tutte le ore di ricerca, non fu in grado di comportarsi correttamente. Scendeva le scale verso il garage e pensava alla madre. In tutti i finesettimana che gli si presentarono nei mesi successivi non fu mai in grado di trovare quel mazzo tanto agognato, ma in ogni caso a parte quella volta non fu più capace di tradire la fiducia del fratello. 

                                                       Joey Pooch